Libia sud est 2007. Diario (3)
Campo SM69, Calanscio, Lady Be Good, campo tra gare
17 febbraio 2007
Km 380 (665)
Alba fresca e cielo terso. Ripartiamo tra le dune, sempre più basse e facili da superare. Ogni tanto qualche gradino verticale di sabbia da scendere ci rallenta ma il ritmo si mantiene elevato. Solo Elvio, in un momento di distrazione, si insabbia quasi fino ai ponti in un pezzetto di falsopiano. E' l'occasione per una pausa per gli altri che sono avanti e per una bella sudata per me che aggiungo le mie piastre a quelle della Land. 10 minuti di fatiche e ripartiamo. I cordoni sono sempre più distanziati ed ora sono orientati nord-sud, consentendoci di viaggiare in ampi e velocissimi gassi. A metà mattina ci fermiamo per il consueto caffè e Marco si improvvisa mauritano indossando la caratteristica veste azzurra ricamata. Come patriarca mauro è abbastanza improbabile, ma in fondo, nel pieno del deserto libico chi vuoi che lo veda?
Ripartiamo. Siamo sempre tra gli 80 ed i 100 Kmh ma con occhio attento per via dei rari piccoli gradini dovuti a scorrimento di acque (chissà quanto tempo fa) che possono fare danni se presi in velocità. Quando anche l'ultimo cordone sparisce dall'orizzonte ci troviamo su un immenso piattone. Trovo uno strano disegno sul terreno. Le tesi su cosa sia sono molteplici: si va dalla tomba pre-islamica ad un segnale per prospezioni petrolifere. Vabbè: nel dubbio ci facciamo un caffè.
Il gps dice: sempre dritto per 130 Km! Viaggiamo a velocità molto sostenuta in direzione del secondo relitto aereo del viaggio: il famoso Lady Be Good. Non ci sono riferimenti visibili. Piatto a 360 gradi. Come sempre sono in coda e decido di fermarmi qualche minuto. Silenzio. Un lieve frusciare del vento. E basta! Bellissimo!
Ma non è il caso di restare fuori portata delle radio, dunque rimetto in moto. Un po' controvoglia.
Abbiamo il punto gps preciso da raggiungere e quando cominciano a mancare pochi chilometri mi metto a scrutare davanti a me, ma non vedo nulla. Eppure era un Liberator, un bombardiere americano dell'ultima guerra, un oggetto grande che nel piatto più totale in cui ci troviamo dovrebbe vedersi da distante. Avanziamo ancora e finalmente vediamo qualche macchia scura sul terreno sabbioso. Ci siamo. Il posto è qui. Ma del maestoso aereo che era atterrato senza più equipaggio a bordo spanciando elegantemente sulla sabbia non resta molto. Un peccato perché le foto dell'epoca in cui fu ritrovato mostravano un velivolo quasi intatto.
Aggirandoci tra i pochi resti mi torna alla mente la tragica storia di questo aereo e del suo equipaggio (vedi link al fondo). Pezzi di alluminio della fusoliera suggeriscono le dimensioni e la struttura dell'aereo che paragonati a quelli del SM79 di ieri sembrano di decenni più moderne. Eppure solo pochi anni distanziano i due progetti e la cosa fa riflettere su come i nostri militari siano stati mandati in guerra allo sbaraglio, con che mezzi, contro quali mezzi!
In compenso, se il nostro aereo fatto di tubi e tela non è stato depredato più di tanto, l'alluminio di questo ha fatto gola a molti e oltre ai miseri resti si può solo ammirare, si fa per dire, il simulacro di aereo, di color rosso, montato su di un palo.
Il sole è a picco e tira vento. Al riparo dei nostri fuoristrada facciamo uno spuntino per recuperare energie in previsione della lunga tappa pomeridiana, in direzione di un nuovo relitto.
Il terreno diventa poco interessante, come il panorama. Un sottile strato di sabbia grossolana ricopre come un velo un orizzonte mosso solo da piccolissimi rilievi di sassi scuri. Ogni tanto qualche breve tratto sassoso spezza un po' il ritmo.
Al tramonto ci rendiamo conto che mancano ancora troppi chilometri per arrivare al prossimo relitto con un po' di luce e decidiamo di cercare un luogo per fare campo. Più avanti, sulla nostra destra, si stagliano delle piccole gare rossastre che potrebbero essere un buon riparo dal vento. Ci addentriamo tra di esse ma anche il luogo più riparato è spazzato da raffiche violente. Sistemiamo le auto in modo da ricavare una zona meno ventosa per piazzare il tavolo e ben presto siamo comodamente spaparanzati tra aperitivi con tartine, parmigiano e speck. Meglio di così!
La storia del Lady Be Good
Campo tra gare, relitto De Havilland, Jebel al Gardah e Al Hawaish, Oasis Crater, Cufra
18 febbraio 2007
Km 313 (978)
Ai primi chiarori mi sveglio. Il campo è ancora silenzioso e ne approfitto per fare un giretto. Mi arrampico su una delle gare vicine per godermi l'alba. Silenzio, aria fresca e ferma, un po' di foschia che rende pallida e sfocata la luce che a poco a poco riprende possesso del deserto. Torno al campo, smonto la tenda e rifaccio il carico in pochi minuti. Per una volta sono pronto per primo.
Siamo presto in marcia su una pista abbastanza scorrevole che solo quando siamo in vista del relitto diventa per un tratto lenta e sassosa. Già da lontano la sagoma è visibile, sembra quasi che si sia appena posato. Poi una volta avvicinatisi ci si rende conto che l'atterraggio non deve essere stato così facile, anche se probabilmente non ci sono state vittime. L'aereo è un De Havilland 104-Dove, un velivolo costruito tra il 1945 ed il 1964, che porta ancore sulla carlinga la scritta United Arab Republic Air Force. I soli carrelli piegati e lo stato integro della carlinga dicono della bravura del pilota che è riuscito a farlo posare su un terreno abbastanza irregolare e sassoso. All'interno i seggiolini sono al loro posto e a parte varie scritte un po' ovunque non si può dire che sia stato depredato. Siamo ad una ventina di chilometri dal confine egiziano e probabilmente non sono in molti a passare da queste parti, anche se la pista appare ben tracciata. Di questo relitto non c'è storia: non si sa chi ci viaggiasse, da dove fosse partito e dove fosse diretto e la sorte dei suoi occupanti.
Cominciano ad alzarsi sia il sole che il vento. Per diversi chilometri la pista compare a tratti. Grandi piattoni sabbiosi interrotti da lievi affioramenti pietrosi che spezzano il ritmo. Viaggiamo in ordine abbastanza sparso fino a raggiungere dei rilievi scuri che si aprono come una grande valle. Ora si viaggia veloci e presto giungiamo in una specie di grande conca sabbiosa dai colori che vanno dall'arancione intenso al giallo e sul cui fondo un gruppo di piccoli coni neri danno un aspetto assolutamente alieno al luogo. Ne approfittiamo per scattare delle foto mentre Marco estrae prontamente la moka.
La prossima tappa è verso Oasis Crater, un luogo che alcuni amici ci hanno segnalato. La pista che porta a Cufra ci passa a brevissima distanza ma nulla lascia pensare che ci sia un accesso. I punti gps in possesso di Marco sono però precisi. Dopo aver incrociato le tracce della pista che richiedono un minimo di attenzione perché sono molto scavate, puntiamo verso il cratere. La passe è posta a nord ed è costituita da una ripida salita. Nessuna particolare difficoltà a parte gli ultimi 50 metri in cui si trovano dei brevi e ripidi tratti di sabbia molle. Giunti sul ciglio si apre davanti a noi un grande anfiteatro. La pista serpeggiando scende dolcemente all'interno.
Ci portiamo a sinistra alla ricerca di un luogo ridossato in cui fare uno spuntino ma non c'è nulla da fare. Vento, vento ed ancora vento! Mi posiziono secondo lo schema preferito in questi casi: muso al vento e spuntino al riparo seduto sulla ribalta del portellone. Pace, scatoletta, parmigiano, speck, coca, caffè. Il tempo di una sigaretta e si riparte.
Il terreno è sempre sabbioso con qualche raro affioramento pietroso. Incontriamo una vasta depressione ed infine siamo in vista di Cufra. L'avvicinamento all'oasi e segnatissima, il terreno molle e le gomme non abbastanza sgonfie mi fanno penare un po'. Purtroppo non posso fermarmi, pena insabbiamento, così forzo un po' e la temperatura del cambio sale, nonostante il radiatore maggiorato e la ventola supplementare. Rallento e mi fermo. Avverto il gruppo ormai lontano e dopo 10 minuti mi estraggo dalla sabbia e raggiungo l'asfalto.
Sfiliamo sotto il forte militare su un altura ed entriamo nell'abitato. Auad fa strada verso un primo albergo. dove però non c'è posto. Allora andiamo verso il centro e troviamo alloggio in un altro albergo. Dire che sia un bel posto sarebbe eccessivo. Diciamo che è nella media e per essere a Cufra, città dimenticata da dio e dai turisti, non è male. Mentre i navigatori vanno a fare una meritata doccia, noi autisti andiamo al distributore a fare i pieni. C'è una discreta coda per la benzina ma per il gasolio abbiamo solo un camion davanti a noi. L'operazione si porta va la solita mezz'ora. Torniamo all'albergo e ci diamo appuntamento per le 8.
Solo la main street è abbastanza illuminata. Un traffico sostenuto si snoda tra colpi di clackson, frenate, fumi di scarico e l'onnipresente polvere. Dopo aver scartato un primo ristorante per la vicinanza con un chiassosissimo negozio che vende CD e impianti stereo ed aver girovagato a vuoto per un altro po', finalmente troviamo un ristorante che si affaccia su una piazzetta. Il padrone è simpatico, il locale è pieno e se sorvoliamo sul fatto che il menu è quello "in vigore" in tutta la Libia, anche il cibo è buono. Per una volta provo a bere una birra analcolica. Mamma mia che schifezza!
Dopo il ruttino di prammatica è d'obbligo una passeggiatina, anche se a parte il viavai che piano piano si smorza non c'è molto da vedere, per cui presto siamo a nanna.