MSF missions

05/04/2000

Amudat, Uganda - Primavera 2000 #6

Autore: Roberto La Tour

Sulla montagna

Questo weekend abbiamo fatto una gita stupenda: siamo andati a Doo, sul Monte Kadam. Si tratta di un a montagna isolata, di origine vulcanica, a ovest di Amudat e ben visibile da casa e dal laboratorio. Di sera si vedono i fuochi appiccati dai contadini per rinnovare i campi. E la stessa montagna della gita della settimana scorsa, quando ci siamo arrampicati su per un bosco in cerca di una sorgente, ma questa volta il progetto era di andare a passare la notte al villaggio di Doo, in cima. Sveglia alle cinque e mezzo la mattina di sabato, rapida colazione alla luce di lampade a petrolio, e partenza alle sei. Partecipano alla gita Grégoire, l?amministratore; Rudiger, il logista e io, dello staff internazionale; del personale locale ci sono Andrew, il mio collega in laboratorio, e Tom, del PHC (Primary Health Care), che va in giro a distribuire vaccini. Inoltre, abbiamo trovato una guida ideale: il ?Chief of Kadam?, una specie di capo tradizionale di tutta la popolazione che vive sul monte, si trovava in questi giorni ad Amudat e accetta volentieri di accompagnarci. E un uomo di cinquantasei anni, vestito con una giacca a vento rossa e un berretto basco azzurro. Non parla inglese, ha sei mogli (poveretto) e innumerevoli figli. Non so perché, ma mi ha fatto pensare a un messaggero della resistenza francese.

Dopo due ore di pista che da sterrato diventa poco più che sentiero per vacche, arriviamo a Lemusui, alla base della montagna, da dove eravamo già partiti per la gita precedente. Grazie alla presenza del capo non abbiamo bisogno di cercar guide, e iniziamo quasi subito ad arrampicarci su per un sentiero scosceso. Questa volta purtroppo niente foresta, e il sole già cocente alle nove ci fa perdere litri d?acqua sotto forma di sudore che lascia grosse chiazze di sale sulle nostre magliette. Il sentiero sale tra rovi spinosi e alberi spogli, ma per fortuna la sfacchinata dura solo tre ore. Arriviamo su un altopiano dove ci sono vari villaggi tra campi appena arati. Capiamo che Doo non è il nome di un villaggio, ma di una zona abitata. Ci fermiamo a mangiare panini e uova sode sotto un albero, poi ripartiamo con una camminata di venti minuti per raggiungere un villaggio più in alto dove c?è l?unica scuola di tutta la montagna, ed è in detta scuola che il capo ci propone di dormire. Sto parlando di una ?scuola?, ma dovete capire che si tratta di una costruzione rettangolare in terra battuta, divisa in due stanze, col tetto di lamiera. E l?unico tetto di lamiera di tutta la zona, e mi stupisco di come abbiano fatto a trasportarlo lassù. Mi viene spiegato che le lamiere vengono arrotolate, e trasportate a spalla da due uomini. Per il resto, i muri sono in uno stato pietoso, con più spazi vuoti che terra. Dentro, niente banchi, niente panche o sedie, ma un tavolo che forse serve da cattedra. In compenso c?è una lavagna, con dei disegni e delle indicazioni: ?this is a chicken?, ?this is a tree?? Arrivati quindi lì, abbiamo visitato il villaggio, interamente composto da capanne rotonde, di tre tipi: le più grandi per le persone, le più piccole per le capre e quelle su palafitte sono granai. Gli uomini non hanno una capanna propria; ogni moglie ne ha una e il marito passa dall?una all?altra.

Il pomeriggio ci siamo divisi in due gruppi: alcuni sono andati a vedere il ruscello, a mezz?ora di marcia, per vedere la situazione in acqua potabile, mentre noi abbiamo continuato a salire fino ad un punto da dove ci si rende conto di come sono distribuiti i vari villaggi. La vista era proprio stupenda. Ritornati al campo, notiamo Tom in grandi conciliaboli con il capo e alcuni notabili; stava negoziando l?acquisto di una capra. Dopo mezz?ora arrivano due uomini che trascinano un caprone; gli tagliano la gola raccogliendo il sangue che bevono subito dopo. Quindi svuotano e fanno a pezzi l?animale; vengono accesi due fuochi, uno dentro la scuola e uno fuori. Su quello all?esterno vengono arrostiti i cosciotti e le costine; tutto il resto viene messo a cuocere in umido in un pentolone sul fuoco all?interno. Ovviamente ormai era buio, quindi lavoriamo alla luce di pile elettriche. Quando finalmente è pronto, ci rimpinziamo di carne e frattaglie, riso scotto e mais in scatola. Poi finalmente tutti a nanna, chi dentro la scuola, o chi come Rudiger o io, refrattari all?idea di dormire su uno strato di polvere di due centimetri, ci installiamo sul prato fuori, facendo attenzione alle cacche di capra. I sacchi a pelo sono sufficientemente caldi (fa freddo, lassù, di notte), ma il vento che ci soffia in faccia è sgradevole. Riusciamo lo stesso a dormire, e siamo svegliati dal canto di un gallo e dalle prime luci dell?alba. Dopo qualche foto alla montagna illuminata dal sole nascente e una rapida colazione a base di piadine gnecche e uova sode, iniziamo la discesa. Dio mio, che male ai muscoli! Con le gambe sempre più traballanti, succede l?inevitabile: scivolo, casco e finisco con una mano dritto su un ciuffo di spine aguzze e ricurve, poco prima dell?arrivo. Con la mano sinistra sanguinante e tirando accidenti, raggiungo lo stesso Lemusui dove Agatha, l?infermiera, ci prepara un buon the. Ripartiamo per Amudat, dando un passaggio a una donna che ha perso tutte le falangi delle dita delle due mani a causa della lebbra, e arriviamo a casa all?una stanchi, sporchi e affamati. Fortunatamente Cecilia, bellina e vicina al parto, ci aveva preparato un?ottimo stufato di capra (tanto per cambiare).

Quella sera, Rudi ed io eravamo invitati fuori a pranzo. Ueh! Una mondanità! Siamo stati invitati da Josephine e Martha, rispettivamente contabile e infermiera del programma di salute primaria. Josephine è minuta, graziosa e un po? taciturna, mentre Martha è grande, bella, estroversa. Hanno tutt?e due partecipato al concorso di miss emoglobina, con Martha per ora largamente in testa. Ci hanno accolto nella casetta che dividono dietro una specie di hangar facente funzione di Chiesa Anglicana e ci hanno offerto prima dell?ovomaltina, poi? stufato di capra, riso, piadine. Il tutto preparato su fornelletti a carbone, alla luce di una lampada a petrolio. E stato molto simpatico, sono proprio due care ragazze, ma visto lo stato fisico in cui ci trovavamo, siamo andati a letto presto.

Bene, mi sa che questa è la mia ultima lettera da Amudat. Parto tra poco più di una settimana, e come per salutarmi, sta arrivando la stagione delle piogge. E già un po? che si fa annunciare, con nuvole, umidità e qualche sporadica piovuta. Ma oggi il cielo è plumbeo, fa fresco, l?aria sa di pioggia, e se le avessimo dovremmo accendere le luci alle tre del pomeriggio. Parto per Kampala il venerdì 14, da lì sabato sera per Ginevra, dove lunedì e probabilmente martedì devo andare all?ufficio di MSF per il ?debriefing?, quindi torno a Torino.


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