Amudat, Uganda - Primavera 2000 #5
"Tu ridi, ma lei vomita"
Sono tornato da Kampala come preannunciato in aereo. Tutto bene, paesaggi affascinanti, il Nilo, le grandi paludi del lago Kyoga, poi le distese aride della Karamoja; prima tappa a Moroto, capoluogo di quest?ultima. Ci siamo fermati lì per poche ore, dovevamo passare all?ospedale e al ?distretto? (i politici localI).
Moroto è una cittadina calda e polverosa, povera, ma con dei begli alberi verdi e ai piedi del monte omonimo; insomma il posto è molto bello. Anche lì l?aeroporto è costituito da una striscia di terra battuta, ma con qualcosa in più: c?è un capanno! All?ospedale lavorano due Italiani, e uno di loro mi ha accompagnato al ristorante locale dove ho mangiato chapati, cioè piadine bisunte. Abbiamo voluto fare delle fotocopie, ci hanno portato all?administrative building?, un bell?edificio costruito subito dopo l?indipendenza, ma prima non si trovava la chiave della porta, poi quella del generatore. Finalmente ripartiti in ritardo ma con le fotocopie, siamo arrivati ad Amudat dopo aver sorvolato dei ?maniata? o ?kral?, il villaggio tradizionale Karimojong e Pokot, con una cinta esterna, una interna per le mucche e capanne e granai tra le due.
Ad Amudat la vita ha ripreso tranquilla, abbiamo avuto una lunga visita durata dieci giorni da parte di Sophie, una dottoressa venuta dalla sede di MSF. Ci ha detto che il nostro progetto funziona bene; è una cosa che fa parecchio piacere sentirsi dire! Un pomeriggio, all?uscita dal lavoro sono andato a fare un giro con il mio collega Andrew, in principio per andare a fare delle foto dell?abbeverata delle vacche. Era uno spettacolo che avevo già visto: al tramonto, la mandria è portata al fiume in secca; scavano un buco nella sabbia fino a trovare l?acqua, poi riempiono un recipiente di legno e danno da bere alle mucche a due per volta. Che lavoraccio! Per raggiungere il fiume siamo passati da dietro il paese, e ho avuto occasione di constatare di persona un problema di cui già sapevo l?esistenza: gruppi di donne urlavano e avevano l?aria di litigare; Andrew mi ha detto che erano ubriache. Lungo la strada, parecchie, con il bambino sulla schiena ci gridavano delle cose; a due metri puzzavano d?alcool. Erano soprattutto donne, forse perché era ancora presto; ma anche gli uomini bevono. E siccome molti sono armati di Kalashnikov, è il caso starsene alla larga quando hanno alzato troppo il gomito. La sera, proprio per questo motivo, abbiamo una specie di coprifuoco, ci hanno detto di non uscire. Immaginate un gruppo di uomini traballanti: ?shciommetto che riuscio a colpire la gliuna ??.
Da pochi giorni è stato aperto il nuovo reparto per la Leishmaniosi; si tratta dell?edificio di cui vi avevo parlato nella mia prima missiva, quello che avevano dipinto prima di aprire la porta. Quando il direttore della ditta che aveva avuto l?appalto ce lo ha ufficialmente ?consegnato?, siamo andati molto vicini all?incidente diplomatico. Il fabbricato aveva parecchi difetti, come zanzariere sulle finestre così male fissate che gli insetti possono entrare a milioni, e così via. A Rudi, il logista che aveva seguito tutta la costruzione e che si era dato molto da fare, sono saltati i nervi. Aveva mostrato al costruttore tutti i difetti e gli aveva ricordato le clausole del contratto. Quest?ultimo si arrabbia e comincia a rispondere male. Allora Rudi non si trattiene e gli dice: ?faresti meglio ad andare a vender banane??. Non so com?è andata a finire la storia, ma ad Amudat si continua a non trovare banane.
Abbiamo avuto qualche ospite sgradito all?health centre?. Un giorno mi lamentavo che i guanti monouso che utilizziamo in laboratorio erano piccoli e inoltre stavano per finire. Sul che mi è stato chiesto se era necessario che i guanti fossero sterili. Ho risposto di no; a noi servono solo per proteggerci da possibili infezioni. ?Benissimo, puoi utilizzare tutti quelli mangiati dalle termiti?. ?Come sarebbe a dire, mangiati dalle termiti?? Insomma, uno stock di guanti sterili, di quelli che si utilizzano per i parti o per piccoli interventi chirurgici, hanno subito un attacco di termiti, che hanno mangiato l?imballaggio sterile, ma non hanno toccato la gomma dei guanti. Buon appetito! E così abbiamo a disposizione centinaia di guanti di varie dimensioni, con la confezione tutta mangiata, ma per il resto sono perfetti. Oggi invece abbiamo sentito un rumore dentro uno scatolone sotto il bancone dove vengono posati i catarri dei tubercolotici. Lo abbiamo aperto, e un grosso topo marrone è saltato fuori. Sono andato in farmacia in cerca di un topicida, e mi è stato detto di andare in magazzino, prendere una trappola, e posarci sopra qualche chicco di granoturco. Si tratta di una di quelle trappole a molla come credevo esistessero solo nei cartoni animati di Tom e Jerry!
Mercoledì abbiamo fatto una gita stupenda. Lo scopo era andare a vedere se era possibile portare l?acqua potabile al paese di Lemusui, sotto al monte Kadam, la montagna a nordovest di Amudat. Ci avevano parlato dell?esistenza di una sorgente sulla montagna, e dovevamo andare a verificare che esistesse veramente, che si trattasse effettivamente di acqua pulita e se fosse possibile costruire una tubazione per portare l?acqua in paese. Sveglia all?alba, colazione ancora al buio, e partenza alle sei e mezza. Ci accompagna il mio collega di laboratorio Andrew, che fungerà da interprete. Prendiamo uno sterrato che sarà di sicuro impraticabile in stagione delle piogge, e arriviamo a Lemusui, proprio sotto la montagna. Si tratta di un gruppo di capanne sparpagliato, con una capanna un po? più grande e il tetto di lamiera, il dispensario. Ci lavora Agatha, infermiera; ci sono alcune medicine di base e un frigo a gas per i vaccini. Spieghiamo che abbiamo bisogno di una guida per raggiungere la sorgente, e rapidamente troviamo tre accompagnatori. Ci incamminiamo poco prima delle nove, e subito ci preoccupiamo del sole e del caldo: se già picchia così forte adesso, che ne sarà a mezzogiorno, e in salita? Invece questo problema non ci sarà: appena cominciamo a salire sulle pendici della montagna, ci immergiamo in una folta, verde, densa foresta, fitta di alberi altissimi. E un cambiamento di paesaggio drastico, incredibile e inaspettato: da una savana secca, con pochi alberi e arbusti spinosi, si passa a una foresta umida, senza rovi; una foresta di quelle belle, e dopo due mesi di sabbia, secco e polvere faceva proprio piacere. Detto ciò, la salita è stata parecchio faticosa, ma abbiamo raggiunto la meta: un ruscelletto di acqua fresca e limpida, che sgorga da delle rocce e dopo un po? sparisce nel terreno. Ci fermiamo per un graditissimo pic-nic gustando i panini farciti da avocado, pomodoro, cipolla, tonno, formaggio, uovo sodo, maionese e senape preparati dal sottoscritto la sera prima, ci riposiamo e ripartiamo per la difficile discesa. Rudiger, meccanico-costruttore, decreta che costruire una tubazione robusta e stabile in quella valle costerebbe troppo caro; optiamo quindi per un pozzo con pompa a mano.
Tornati a Lemusui, voglio comperare un favoloso arco con cinque frecce, ma Andrew, che mi fa da interprete, dice che la somma richiesta di sette dollari è eccessiva, e assolutamente di non comperarlo lì. Io fremevo dalla voglia, ma non ho osato, perché non posso fare la figura del riccone che spende e spande davanti al mio collega. Spero di trovarne un altro, magari vado a cercarmelo da solo, sennò ci rimango male. Abbiamo dato un passaggio al ritorno a una mamma col bambino malato, e a una donna più anziana che voleva venire per occuparsi del marito, ricoverato ad Amudat. La mamma è una bellissima ragazza, simpatica e sorridente, con una stupenda fila di denti bianchi. Era seduta di fronte a me, con i seni al vento, e ogni volta che la macchina sobbalzava quelli sballonzolavano. Allattava il bambino, e la sequenza delle immagini davanti ai miei occhi era la seguente: capezzolo turgido - bocca di bimbo che succhia ? goccia di latte ? mosca che si posa. Intanto alla vecchia è venuto il mal d?auto, per fortuna siamo riusciti a farla uscire in tempo due volte. La ragazza rideva, e allora le ho detto, chiedendo ad Andrew di tradurre: ?tu ridi, ma se lei vomita, io non rido affatto?.
Due giorni dopo, venerdì, alla fine della giornata di lavoro Andrew si è proposto di accompagnare Muriel e me a fare un giro. Grazie a lui, abbiamo potuto visitare un Maniata o Kral di cui non sospettavamo l?esistenza subito fuori Amudat. C?è una cinta di rovi spinosi, e si entra passando chinati da una piccola apertura. All?interno, parecchie capanne tonde in terra battuta con il tetto in paglia, e dei granai, cioè capanne in vimini col tetto anche loro conico in paglia, ma sospesi su palafitte. Poi, in mezzo al Maniata, una seconda cinta circolare, all?interno della quale vengono tenute di notte mucche e capre. Al nostro ingresso, siamo stati subito accolti da una turbe di bambini urlanti e ridenti, che gridavano: ?Muzungu! Muzungu!? (?Uomo bianco! Uomo bianco!?), una ragazza adolescente calma e sorridente, e una vecchia coi seni al vento che si è arrabbiata coi bambini. Prima che Muriel avesse finito di chiedere a Andrew se potevamo fare fotografie, i bambini si erano già messi in posa gridando ?Foto! Foto!?. Usciti dal Kral, siamo stati subito intercettati da un tipo ubriaco fradicio che voleva darci la mano, è quasi caduto per terra, poi ci gridava ridendo delle cose. E comunque interessante vedere che questo tipo di villaggio tradizionale continua a esistere alle porte del borgo, anche se è vero che Amudat, nonostante il suo piccolo ospedale, la sua scuola, la sua chiesa cattolica e quella protestante non è che sia un grande esempio di ricca modernità: sono poche le case in muratura; molte, anche se rettangolari e col tetto di lamiera, hanno i muri in terra battuta; ci sono pure numerose capanne. L?altra sera c?è stata una tempesta di polvere in paese. Ero andato a comperare del pepe (che non ho trovato), e vedevo accumularsi enormi nuvoloni neri, che col sole tramontante davano una luce bellissima. Improvvisamente si è scatenato un vento fortissimo, che ha sollevato una polvere tale da mostrare le capanne come avvolte da una nebbia marrone. Mi sono maledetto per non aver preso con me la macchina fotografica. Tornato a casa ha cominciato a piovere, e ho sistemato alla meglio il sistema di grondaie e tubi per raccogliere l?acqua piovana, che il vento aveva ovviamente divelto. La sera mi sono coperto di gloria facendo una frittata con cipolle e melanzane. Avete udito bene: melanzane trovate in paese! Le abbiamo ogni tanto quando la macchina torna dal Kenya, ma qui, come già vi avevo accennato, oltre a cipolle, pomodori e cavoli, di verdura non si trova un granché.
Sabato sera abbiamo fatto una partita a Monopoli. Dello staff internazionale c?erano Grégoire, Rudiger e io; la popolazione locale era rappresentata da Andrew. Il gioco era una versione fabbricata chissà dove in inglese e in arabo; il tabellone era in cartoncino così leggero che si curvava, e i dadi cosi mal fatti che si confondeva continuamente il quattro col cinque. Per vederci qualcosa abbiamo usato una lampada a pressione. Si tratta di una lampada a petrolio con la retina come quelle a gas; per accenderla bisogna prima dare fuoco a una vaschetta di alcool, poi pompare come dei disperati per un?ora fino a che la retina diventa di un giallo chiaro luminoso come una lampadina elettrica. Ci siamo divertiti molto, anche se con quell?illuminazione e quella versione del gioco si confondevano i colori dei gruppi di terreni, e Andrew ha imparato molto in fretta. Altre attività ricreative locali sono i film della domenica sera. Nel quartiere del personale o al tempio protestante, mostrano una cassetta video. Ovviamente, per far ciò devono accendere un generatore rumoroso. La scelta passa da Kung-Fu a videoclip musicali e drammi americani anni cinquanta. Qualunque sia la scelta, c?è una gran folla con molti bambini. Il suono è pessimo, credo che la metà, me incluso, non capisca niente, ma non fa nulla: sono tutti incantati. Magia delle immagini.
Parlando di lampade a pressione, voglio raccontarvi la scenetta di ieri sera. Il nuovo reparto di cui ho parlato più su è dotato di un sistema di illuminazione a pannelli solari; il guardiano è venuto ad avvertirci che non funzionava. Si può controllare l?impianto solo di giorno, ma Rudi e io andiamo lo stesso per aiutarli ad accender alcune di quelle lampade particolari. Arriviamo e vediamo fuori dalla porta, alla luce di una lampada a petrolio sporca, un?infermiera che mette una sonda ad un bambino urlante per toglierli l?aria dallo stomaco. Dentro, accendiamo l?alcool della prima lampada, pompiamo alacremente, la retina si accende, ma poi si rompe a causa delle vibrazioni di noi che pompiamo, il getto di kerosene vaporizzato incandescente si dirige contro il vetro, e quello si spacca. Vogliamo usare la seconda, riempiamo di petrolio per errore (eravamo quasi al buio) l?orifizio della pompa, e quindi inondiamo di kerosene la stanza delle infermiere. Finalmente riusciamo ad accenderla, e torniamo a casa sotto un cielo stellato meraviglioso lasciando William, il farmacista, che continuava a pompare affinché la luce durasse alcune ore.
Come vedete, la vita qui si colora di intense attività sociali; altroché Parigi, Madrid e Berlino. Dovrei tornare tra tre settimane, e allora confronteremo con la vita torinese.