MSF missions

06/09/2003

Siberia Occidentale - Estate 2003 #2

Autore: Roberto La Tour

Sabato 6 settembre 2003, allegria siberiana

Eccomi qui, a Mariinsk, da più di un mese e mezzo. Professionalmente non ho molto da raccontare perché, purtroppo, il braccio di ferro tra MSF e il GUIN, l’autorità penitenziaria russa, continua. C’è disaccordo sui protocolli diagnostici e terapeutici per curare la tubercolosi, e quindi per ora siamo più dei donatori, che li riforniamo in medicinali e materiale diagnostico, che dei partner, come dovremmo essere. Perciò vi parlerò soprattutto delle mie impressioni su questo posto, e racconterò alcuni episodi della vita sociale e delle gite che abbiamo fatto di weekend.

Una settimana dopo la memorabile ed epica escursione in zatterone sul fiume Kia di cui vi ho raccontato, lo staff dell’ufficio ha organizzato un weekend di campeggio in riva ad un lago. Questa volta sono venuti in tanti, alcuni che non c’erano la volta scorsa, come Irina e Natasha, le cuoche donne delle pulizie, Luda (Ludmilla), la nostra amministratrice, e Lena (Elena), la logista. Pioveva da due giorni, ci è venuto qualche dubbio, siamo partiti lo stesso che aveva smesso, dopo un paio  d’ore arriviamo, ricomincia a piovere, ci sistemiamo sotto gli alberi vicino alla riva, piove, continua a piovere, montiamo le tende sotto la pioggia, stendiamo un telo tra i due pulmini, improvvisiamo una zona pasto li sotto, riusciamo ad accendere un fuoco, continua a piovere, i miei piedi sono bagnati, ho freddo, Luda mi da della vodka, insiste che bisogna brindare per non prender freddo, poi andiamo tutti a cantare intorno al fuoco, sempre ovviamente sotto la pioggia battente, manca Luda che nel tentativo di far bere me si ubriaca lei, alla fine vado a dormire, mi infilo in una vecchissima tenda di un solo telo di cotone che ho teso tra due alberi perché mancavano i paletti, è complicatissimo entrarci, c’è dentro Irina che mi accoglie con un urlo dicendomi soprattutto di non toccare le pareti sennò entra dentro l’acqua, arriva anche Fred, io cerco di dormire con sotto di me un buco e la radice di un albero, uscire di notte per un bisognino è non solo un impresa ma anche gradevolissimo sotto la pioggia, al mattino continua a piovere, andiamo a mendicare il fuoco di altri campeggiatori per dell’acqua calda (ma come fanno i russi ad accendere un fuoco con tutto fradicio?), e siccome continua imperterrito a piovere, decidiamo di tornare a Mariinsk, dove passiamo un weekend pigro tra mangiate, fumate di narghilé, e passeggiate con Taiga.

La vita a Mariinsk è proseguita tranquilla e un po’ sonnacchiosa, è tornato il bel tempo con un gran solleone. Ho trovato nella cantina dell’ufficio due vecchie biciclette mezze rotte e coperte di ragnatele, me ne sono occupato, e tra le mie manine e il gommista nostro vicino abbiamo due belle biciclette funzionanti, e ne uso una quasi tutti i giorni per andare in ufficio. Ogni tanto invito un po’ di colleghi a casa a mangiare, e procurarsi gli ingredienti per cucinare ciò che vorrei non è sempre facile. Ci sono negozietti ovunque, dove si trovano cose come pasta di cattiva qualità, sale, zucchero, uova, birre, pesce in scatola, salumi vari non molto buoni, pesce affumicato, latte solo a volte, succhi di frutta, poca roba fresca (cipolle, pomodori, banane). Poi ci sono chioschi che vendono pane. Ma il sabato e la domenica c’è un grande mercato, abbastanza bello, dove si trova carne fresca, ogni genere di verdura, vestiti, roba per la casa. E’ abbastanza lontano, e ci andiamo coi pulmini pubblici che passano assai di frequente. Adesso purtroppo la stagione è finita, ma fino a poco fa vendevano mirtilli e lamponi fenomenali, con rischio però di schiacciatura nello zaino con conseguente succo rosso o blu che ti cola sui calzoni. A parte le mangiate, ci riuniamo pure per vedere delle videocassette, e sono serate languide che se è di passaggio Jean-Yves, il nostro psicologo basato a Kemerovo, vengono completate dal Narghilé.

Per quanto ne sappiamo, a Mariinsk c’è un unico locale, “Il Caffè”. Si tratta di un bar – ristorante – sala da ballo, si entra in un orrido palazzo di quattro piani, e dietro la scala condominiale pulciosa, c’è una porticina per la quale si passa in questa sala rettangolare, decorata da pannelli di legno scolpiti,  con dei tavoli sui lati, un grande bancone bar con sopra un’insegna luminosa della Marlboro, e una bella ragazza che serve. Si può bere e mangiare, e mi sono rifocillato con una stupenda foglia di cavolo farcita di riso e carne. Con una birra, mi è costata ben tre euro. Isaias, il mio collega etiope, fa come al solito sensazione, e le ragazze si alzano dai tavoli per invitarlo a ballare. Una di loro era lì con le sue amiche, tutte molto scure di pelle con l’aria da belle beduine, le credevo kazache o uzbeche, invece pare siano zingare siberiane.

Un pomeriggio siamo stati tutti invitati a una festa alla colonia penale (leggi gulag) per il pensionamento di due infermiere veterane della prigione. Dapprima in una specie di sala polifunzionale per dei discorsi e un concerto tenuto dall’orchestra dei detenuti, poi tutti dietro il penitenziario per una mangiata, balli e libagioni. Io che ero dovuto tornare in ufficio, ci vado a piedi da solo, e mi perdo tra i maiali. Finalmente trovo il posto, c’è un tavolo lungo lungo stretto stretto riparato da un tetto che fa pensare a un ponte coperto come quello di Lucerna, con sopra ogni ben di Dio. Mi fanno posto a un’estremità, subito un medico mi riempie il bicchiere di vodka e vuole brindare. Ho dovuto stare estremamente attento a non incrociare sguardi, sennò sbornia assicurata. Poi hanno tirato fuori la musica, e tutti a ballare sotto al sole. Un infermiera un po’ brilla e dall’aria arrapata ha adocchiato Isaias e ballava scatenata in maniera provocante davanti a lui tirandosi su la gonna. A me è venuta per invitarmi a ballare una ragazza biondissima, bianchissima e con le labbra rossissime; ho ballato con lei ma non mi ha ispirato altre idee. Tornato a tavola, sono stato concupito da una delle due infermiere che andavano in pensione, e c’è mancato poco che mi divorasse crudo. Immaginate la scena: una vecchia, brutta, con tutti i denti d’oro, ubriaca, mai vista prima, che ha voluto mangiare un cetriolo insieme a me dalle due estremità, e alla mia spiegazione sull’odio dei cetrioli lo ha voluto fare con una polpetta. Sono riuscito a scappare non prima che mi schioccasse un bacio sulle labbra, e ho trovato Isaias che non apprezzando troppo neppure lui l’atmosfera eccessivamente caliente, è stato contento di venire via con me.

Mi sono recato altre due volte a Novokuznesk, nome che significa qualcosa come “nuova fucina”. E’ un importante centro minerario e siderurgico, e le ciminiere che emettono nell’atmosfera grandi volute di fumo bianco, nero e rosso ce lo ricordano bisogno ci fosse. L’appartamento dove dormiamo è in Viale della Metallurgia. Nel laboratorio dell’ospedale della colonia penale tutto quello che c’è, o quasi, è stato fornito da MSF. Cominciamo ad essere seccati, l’economia in Russia e nella regione si sta lentamente raddrizzando, possibile che non siano in grado di comperare niente? In laboratorio gli mostro un’incubatrice, vecchia ma in ordine, e dico: “ecco, quella non ve la abbiamo fornita noi”. Risposta: “risale all’epoca sovietica”. Allora gli chiedo: “ma non c’è proprio niente che possiate fornire voi?” E mi indicano gli sgabelli, fabbricati dai carcerati nella falegnameria della prigione…

Comunque Novokuznesk, a parte la puzza vicino alle fonderie, è una città abbastanza gradevole, ci sono pure lì vecchi condomini in pietra, certi hanno balconi verandati con colonne, e c’è un bel fiume. Ma l’insieme è meno omogeneo che a Kemerovo, dove tra l’altro sono finalmente riuscito a passare un sabato sera mangiando sashlick sul lungofiume, c’è un atmosfera piacevolissima, la birra è fresca, il ballo all’aperto e il luna park subito dietro danno la musica, la luna si riflette sull’acqua, e passano belle ragazze in minigonna. Non so ancora com’è la Siberia in inverno, ma d’estate è proprio un piacere.

Anche Mariinsk nelle lunghe serate estive è sbrodolosa. Una sera che Fred era di passaggio, abbiamo fatto una lunga passeggiata da casa fino al centro, passando per delle vie interne. La maggior parte delle case è in tronchi di legno, quello che gli americani chiamano “log cabin”, in pino o abete, con le finestre in betulla scolpita dipinte di blu. Davanti alle case oltre a cani, ci sono capre, pecore, e tante oche. Ogni tanto passano dei cavalli, spesso con un piccolo, apparentemente senza padrone. Ci siamo fermati a fare le feste ad una capra che si comportava con noi come un cane. Io spingevo una bicicletta, e quando Irina l’ha provata si è staccata la catena. Sono intervenuti due signori, che l’hanno smontata e rimontata tutta, e non hanno voluto niente. Mentre lavoravano, ho osservato un gruppo di oche, che animali affascinanti che sono! Siamo finalmente arrivati in centro, e c’è un negozio con la birra alla spina, ne comperiamo qualche bicchiere più due bottiglie di spumante, e ci sistemiamo sulle panchine dei giardinetti. Fred, Nastia e Irina bevono troppo, e hanno cominciato a fare una battaglia con l’acqua di una pozzanghera. Marina e io li abbiamo trattati di “svinià”, cioè maiali.

Ilse, dottoressa  belga del progetto tubercolosi nella società civile a Kemerovo, se ne va, e siccome non aveva potuto partecipare alla prima discesa del fiume, ne abbiamo organizzata un'altra due settimane fa. Questa volta eravamo solo in sei, Ilse, Silje, l’infermiera norvegese, Jean-Yves, Nastia e Marina, due nostre assistenti, più Oleg, la guida. Riusciamo a sistemarci tutti con i bagagli, le provviste e gli zatteroni nella vecchia Land-Cruiser, e partiamo alla volta del fiume, in un punto più a monte dell’altra volta. Dopo quasi tre ore di guida, quasi tutte su uno sterrato, e dopo aver attraversato un paese minerario abbandonato, arriviamo che ormai è buio alla partenza della gita. Sistemiamo il campo su un bel prato, accendiamo il fuoco, facciamo la minestra, e abbastanza rapidamente andiamo a dormire. La notte diventa decisamente fredda, cosa che non impedisce a Nastia e Marina di dormire fuori, e a Jean-Yves di provarci.

Al mattino c’è la nebbia fitta, e fa decisamente freddo. Ma presto sorge il sole, la nebbia si dirada, e facciamo colazione sotto un sole sgargiante. Mi offro come volontario per lavare i piatti, e quando tolgo dal secchio che ci è servito come pentola i resti di pasta e li butto in acqua, vedo arrivare una miriade di pesciolini che si precipitano per l’abbuffata. Ci mettiamo ore a montare e gonfiare gli zatteroni, e finalmente partiamo. Il paesaggio è ancora più bello dell’altra volta: una foresta verdissima copre le montagne che seguono il fiume, e dei faraglioni rocciosi scendono a picco sull’acqua, limpidissima. La corrente è veloce, e sotto di noi vediamo sfrecciare pietre e piante acquatiche. Delle aquile pescatrici si alzano in volo al nostro passaggio, e degli strani uccelli, simili ad anatre, corrono sull’acqua, non c’è altro termine per descrivere questo loro modo di muoversi. Non c’è traccia della presenza dell’uomo, è uno dei posti più belli che abbia mai visto. Abbiamo avuto il sole tutto il giorno, tranne un acquazzone improvviso che ci ha costretti a fermarci e a ripararci sotto i teli. Il sole riappare, e la sera ci fermiamo dove dei roccioni piatti formano una specie di approdo, e sistemiamo il campo un po’ più su, nella foresta. Facciamo il fuoco, è pazzesca la loro abilità per fare fuochi anche dopo la pioggia e cucinarci sopra, altroché i nostri fornelletti a meta. E solo in Russia ho visto la sega tascabile, si arrotola su se stessa, diventa piccolissima, pesa al massimo un etto, ma permette di tagliare grossi rami di alberi morti in pochi minuti. La notte è molto meno fredda, al mattino niente nebbia, e facciamo tutti il bagno nel fiume, ma accidenti, che eroi che siamo, l’acqua è gelida!

Ripartiamo, il paesaggio è sempre di una bellezza sconvolgente, ma ogni tanto c’è una tenda e incrociamo qualche pescatore. Finalmente arriviamo là dove eravamo partiti l’altra volta, e torniamo a Mariinsk felici, esausti, cotti dal sole e purtroppo coperti dalle punture dei pappataci, minuscoli moscerini che provocano violenti pruriti due giorni dopo.

Concludo raccontandovi la serata di ieri: con Osman e Isaias, i due medici, sono andato al Caffè. Uno dei tavoli era preparato per una decina di persone, e coperto da cibi e bevande. Arrivano i convitati, e abbiamo notato che le ragazze si erano vestite come per andare a un ballo a corte o quasi, erano elegantissime e tutte in tiro, i ragazzi invece erano in tuta da ginnastica. Al tavolo di fianco al nostro c’erano due ragazze che bevevano in pace, quando si alza uno da un altro tavolo, non stava in piedi da quanto era ubriaco, ma si fionda su una delle due e non le da più pace finché quella accetta di ballare con lui. A un certo punto lei si scoccia e torna al suo posto, lui si siede al suo tavolo, e vomita per terra, davanti a tutti. Le due ragazze si alzano e se ne vanno. Però poi tornano, e l’ubriacone non contento ritorna alla carica e non le dà più pace. Intanto nessuno pulisce, credo che la padrona non lo abbia visto e i clienti non si sono lamentati. Intanto ad un altro tavolo c’è un gruppo di ragazzi agitati, uno di loro continua a venire al nostro tavolo per parlare e forse brindare, purtroppo non ci capiamo. Lui sta in piedi, chinato su di noi, e io devo spostare la mia birra per evitare che la cenere della sigaretta cada dentro. Intanto gli amici dell’ubriaco si rendono conto che quello esagera, e fanno di tutto per portarlo via, ma lui torna indietro tre volte sempre con lo stesso chiodo fisso. Va a finire che le due ragazze se ne vanno per davvero, a quel punto il tizio non torna più, e a quel tavolo si siedono tre ragazze più giovani. Al che si fondano due amici di quello con la sigaretta, ma interviene la padrona che abbaiando li caccia via. Fino a quel momento se ne era fregata del comportamento dei clienti, ma Osman mi ha spiegato che una delle tre ragazze è sua figlia; infatti più tardi è andata ad aiutare dietro al bar. Che mamma protettiva.


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