Mauritania 2002 - Diario (3)
Oualata - Nema - Ayoun El Atrous
6 gennaio 2003
Pista, asfalto - Sole, vento.
Dopo una lauta colazione andiamo a visitare un progetto ispano-mauritano nelle vicinanze. Si tratta di una grande cooperativa agricola che, grazie a fondi spagnoli, ha costruito un sistema di irrigazione goccia a goccia con pompe e cisterne.I frutti dopo 7 anni di attività si vedono.
Piccoli orti verdissimi, giovani palme da dattero di 3/4 metri ed altre coltivazioni che ben si adattano al clima del luogo. Il direttore (un giovane agronomo mauro) ci guida all'interno degli orti. Questi sono gestiti su base familiare dalle donne (tutte di etnia nera). La cooperativa vende i prodotti ed il ricavato viene suddiviso tra le famiglie. Hanno anche cominciato ad allestire un camping, ma lo fanno discretamente per non urtare la suscettibilità del caid locale che possiede l'albergo in cui abbiamo dormito ed un altro camping.
Uscendo dalla cooperativa la guida ci porta a "vedere i Nemadi". Questi dovrebbero essere una popolazione nomade che caccia con i cani. Veniamo condotti sull'altro lato del oued che fronteggia Oualata presso due tende misere, i cui proprietari non sembrano affatto diversi dagli altri abitanti. Solo due cani nei pressi potrebbero far pensare ai Nemadi. Ci rendiamo conto che, probabilmente con la guida non ci siamo capiti. D'altra parte i Nemadi dovrebbero essere un popolo del deserto, nomadi non urbanizzati.
Lasciamo Oualata per dirigerci a Nema attraverso la pista ovest. Quasi tutta in piano si snoda attraverso un terreno arido e piatto, sfiorando alcune sebka.
Nema. Città grande e terminale della strada nazionale asfaltata che da Nouakchott porta in Mali. Dopo aver fatto riparare il problema al cuscinetto del 80 di Athos, andiamo alla gendarmeria dove lo chef decide di farci perdere mezza giornata inutilmente. Secondo il suo (modesto) parere, attraversando da nord a sud ed entrando nel suo territorio da Oualata abbiamo commesso un grave reato (e vorrebbe farci pagare anche un permesso per le foto fatte a Oualata) e quindi dobbiamo scucire molte migliaia di unghie. Roberto, Athos e Giorgio affrontano la battaglia dialettico/economica con lo chef. Alla fine, scuciteci un po' di unghie, ci vista i passaporti e ci permette di ripartire. Imbocchiamo l'asfalto verso ovest.
Ad un paio di controlli i gendarmi ci chiedono soldi ma Roberto li fulmina maledicendo lo chef di Nema. La cosa funziona. Desistono. Evidentemente la rapacità del soggetto è nota.
Viaggiamo a velocità sostenuta. Ai lati della strada tanti piccoli villaggi, principalmente di tende. Con il calare del buio, ad un centinaio di km da Ayoun El Atrous ci fermiamo a qualche centinaio di metri dalla strada per fare campo.
Ayoun El Atrous - Tamchekket - Audaghost
7 gennaio 2003
Pista, fuori pista - Sole, vento.
All'alba siamo in piedi. Guadagniamo velocemente AYoun El Atrous dove Giorgio cerca inutilmente qualche ricambio per il Toy (i prezzi sono bassi rispetto all'Italia) e dove ci informano che la pista che porta direttamente a Tamchekket non è più quella indicata dalle carte ma è stata sostituita dalla nuova che parte dopo Tintane, una settantina di km più avanti. Usciti dalla città, la strada corre tra formazioni rocciose. Dopo Tintane, oltrepassata la falesia alla nostra destra svoltiamo sulla nuova pista. Scorrevole con un po' di tòle. Alle 12, infallibile, Roberto stoppa per lo spuntino.
Mentre siamo fermi passa una mandria di cammelli molto numerosa con tutta la famiglia al seguito. Trasloco? Veniamo raggiunti da un elegante signore in abiti tradizionali con valigetta in pelle. E' il sindaco di un vicino paese che si deve recare a Tamchekket dal governatore e ci chiede un passaggio. Sale sull'apecar, l'unica ad avere un sedile disponibile. Tamchekket si trova su un rilievo sabbioso circondato da boschi di acacie. Il luogo è bello. Le costruzioni un po' fatiscenti ma un cartello annuncia che oltre alla scuola, già costruita, sono in programma un ambulatorio ed un macello per bovini. Sembra strano ma, in effetti, nella zona si vedono più bovini che capre.
Dopo il solito check dai gendarmi proseguiamo alla volta di Audaghost, la città perduta. La pista punta ad est. Facciamo fatica a trovarla a causa delle dune che sbarrano la via diretta. Poi seguiamo il tracciato. Quando il punto GPS di Audaghost comincia ad essere troppo alla nostra destra ci rendiamo conto di aver sbagliato pista. Probabilmente stiamo seguendo il vecchio tracciato che porta a Ayoun El Atrous.
Torniamo sui nostri passi e troviamo l'imboccatura di una valle insabbiata che ci permette di approcciare la piana che ci separa dalle alture in cui si nasconde la città. Vi arriviamo nel tardo pomeriggio. Intorno a noi falesie di roccia e, al centro di una conca, ecco Audaghost.
Della città non resta molto. Mucchi di pietre suggeriscono la posizione degli antichi edifici. Unica costruzione visibile la base della moschea. E' stata ricostruita da alcuni archeologi come esempio. Curiosamente non è orientata correttamente. Il "Sindaco" locale ci da il benvenuto e poi, molto discretamente, ci lascia soli mentre alcuni di noi si arrampicano sulla falesia che ci sovrasta per godersi il tramonto
Audaghost - Tamchekket - Campo a sud di Boumdeid
8 gennaio 2003
Pista, fuori pista - Sole, vento.
Torniamo sui nostri passi fino a Tamchekket. Questa volta ci mettiamo poco. Ma l'uscita dal bosco a nord della città (bellissimo verdissimo, quasi irreale), costellato da innumerevoli piccoli villaggi, si rivela complicata. Non troviamo un tracciato e ci andiamo ad infilare in un terreno infido di sabbia e touffes. Alla fine torniamo indietro ed in un villaggio, in cambio di magliette, troviamo chi ci guida verso l'imbocco della pista che porta verso nord ovest. Spuntino. A metà pomeriggio siamo ad un pozzo, con nomadi ed innumerevoli capre e cammelli. Facciamo una sosta e filmiamo l'abbeverata.
Imbocchiamo la pista che punta a nord, l'unica evidente dal pozzo, e proseguiamo per un oretta. Secondo il GPS, Boumdeid si trova verso ovest, ma la pista prosegue verso nord e non si scorgono passaggi agevoli. Torniamo al pozzo e, dietro l'altura a cui è addossato, troviamo la pista che porta ad ovest. Dopo qualche km la pista comincia a tendere verso sud. Noi dovremmo andare verso nord ovest. Lasciamo la pista e seguiamo delle tracce che portano nella direzione corretta. Il terreno non è molto scorrevole. Passata un ultima altura ci troviamo in una ampia valle che punta nella giusta direzione. La pista appare qua e là. La guida è faticosa. Comincia a fare buio e, scorta una duna in mezzo alla piana, vi facciamo il campo.
Campo a sud di Boumdeid - Boumdeid - Nega Pass - Nbeika - Matmata
9 gennaio 2003
Pista, fuori pista, asfalto - Sole, vento.
Oggi è il giorno di Nega. Ci svegliamo presto e ricominciamo a cercare delle tracce che siano più lunghe di 200 metri. Dopo qualche km finalmente il tracciato diventa chiaro e migliora mano a mano che ci avviciniamo a Boudeid. Acacie sparse, qualche piccolo accampamento. Sullo sfondo si staglia la montagna che nasconde la città. Alla periferia di Boumdeid troviamo un nuovo barrage che sbarra un ampia vallata. Il tempo di fermarsi a fare una foto e buchiamo.
Mentre ci diamo da fare si avvicinano due anziani ed eleganti locali. Uno di essi è l'ex sindaco. Ci racconta la storia dell'asfalto che dovrebbe legarli a Kiffa, promesso prima delle elezioni e mai realizzato. Governo islamico o (demo)cristiano, non cambia molto...
Arriviamo nel centro della città. Roberto passa alla gendarmeria per registrarci e chiedere le condizioni della pista. Pare che una macchina di locali abbia fatto il passo di Nega tre giorni prima, ma venendo da Tidjikja. Il prefetto ci augura buona fortuna ma non è convinto che passeremo. Toccando tutto il toccabile imbocchiamo la pista sabbiosa che, aggirando la falesia, ci porta fino al villaggio alla base del passo.
Sosta. Sgonfiaggio dei pneumatici. Lo scenario è grandioso. Ci troviamo circondati da falesie completamente insabbiate. Siamo tutti un po' emozionati. Il passo di Nega, classica della Paris-Dakar, è rinomato come difficile da passare. L'accesso al passo parte a sinistra della pista, subito prima del paese. Davanti a noi una conca insabbiata.
Approcciamo la salita portandoci in quota con un movimento circolare in senso orario, in modo da portarci già in quota sulla sinistra della conca, dove si trova la passe. Qui un insieme di dune molli ed in salita rende delicato il percorso. Va detto che siamo facilitati nella ricerca del giusto passaggio da alcune tracce abbastanza recenti (forse quelle della macchina segnalataci a Boumdeid) e che a quest'ora la sabbia è più compatta. Roberto, come sempre apre la carovana, noi siamo in coda. La rampa finale la affrontiamo a manetta e ci ritroviamo, come niente, sulla sommità. Fantastico, al primo colpo e senza infognarci.
Si prosegue sempre in quota con qualche passaggio non chiarissimo e poi inizia la discesa. Dopo una prima parte sabbiosa ci troviamo sull'orlo di una gorge. Sosta sui grandi pietroni a strapiombo. Proseguiamo, entriamo nel letto di un oued dove troviamo un pozzo con famiglia nomade che abbevera le bestie. La pista ora diventa sassosa, poi si corre su degli altopiani neri abbastanza scorrevoli. Pausa spuntino. Dobbiamo scendere dalla falesia ma, essendo la pista tracciata sulla roccia, ad un certo punto non troviamo il passaggio. Scendiamo a piedi a cercare una traccia. Per fortuna arriva un nomade, elegantissimo sul suo fido cammello. A gesti ci indica il passaggio. Era a 100 metri da noi. Siamo diventati orbi.
Discendiamo sulla piana sottostante e proseguiamo su pista verso El Gheddiya. Arrivativi chiediamo informazioni. Pippo rincorre e cazzia un bambino che ha cercato, senza riuscirvi di lapidare il suo Toy.
Proseguiamo ancora verso nord ed al villaggio seguente (non indicato sulle carte) imbocchiamo la pista che porta in direzione dell'asfalto che da Moudjeria porta a Tidjikja. Percorso abbastanza scorrevole che attraversa alcuni piccoli villaggi. Giungiamo infine all'asfalto. Verso nord a circa 15 km si trova Tidjikja. Noi andiamo a sud ovest. La strada è recente, ben asfaltata e scorrevole, ma occorre fare attenzione alle curve, sempre abbastanza secche. Il paesaggio intorno a noi è costituito da scuri rilievi ed ammassi di rocce disposte in modo caotico. Corriamo in direzione di Nbeika, piccolo paese agricolo al centro di una grande valle.
Acqua. Tanta. Imbocchiamo la pista che a sinistra dell'asfalto porta a Matmata.
Appena imboccata vediamo un lago (!) con asini che brucano erba palustre. Tutto intorno dune ed acacie con, sullo sfondo, le due falesie di roccia scura che cingono la vallata. La risaliamo lungo una pista sabbiosa che si snoda tra i recinti degli animali e gli orti. Per raggiungere il corso dello oued di Matmata bisogna tenersi sulla sinistra della valle, attraversando un punto completamente piatto, in direzione del villaggio. Superatolo ci si infila in un fitto palmeto e ci si trova nel corso del oued. Svolta a sinistra e risalita del corso fino a dove si infila in una gorge. Il posto è molto suggestivo, grazie anche all'orario serale che marca le ombre e riscalda la luce.
Con dei ragazzini che ci guidano risaliamo per qualche centinaio di metri la gorge. camminiamo su un fondo sabbioso irregolare, costellato di grandi massi arrotondati. Alla base di alcuni di essi delle pozze d'acqua verdastra in cui sguazzano dei piccoli pesci gatto. Il sole tramonta. Si levano i mosquitos e per questo motivo i ragazzini ci sconsigliano di fare campo nella gorge. Torniamo sui nostri passi lungo lo oued ed arrivati in corrispondenza della pista percorsa precedentemente ci portiamo sotto un palmeto che sorge sulla sponda alla nostra sinistra. Facciamo il campo, circondati dai bambini del luogo che, prima si siedono e guardano lo spettacolo dei turisti che montano il campo, poi tornano per inscenare il loro spettacolo per noi.
E' il nostro ultimo campo insieme. Domani il gruppo si dividerà: Pippo e Roberto accompagneranno i loro navigatori all'aeroporto di Nouakchott per poi proseguire in "solitaria" fino in Italia. Noi e gli Ape punteremo verso Dakar per spedire le nostre fuoristrada via mare ed imbarcarci su un volo per la Malpensa. La telecamera, nonostante la protezione in polietilene che la proteggeva, ha esalato l'ultimo respiro. Se non altro ha fatto il suo dovere fino alla fine.