Georgia, estate 1999 #2 - Toréador prends garde
L'arrivo del caldo è meno stimolante alla scrittura dei geli invernali Armeni. Cercherò comunque di raccontarvi alcuni momenti delle mie ultime settimane.
Due settimane fa siamo andati all?opera, davano la Carmen. Alcuni giorni prima, di ritorno da uno di quei posti dove in principio si curano sifilidi e gonorree, in auto con Nana e Avto noto passando davanti al teatro un grande striscione coperto di ghirigori dall?apparenza invitante. Chiedo a Nana se è prevista qualche manifestazione interessante, e lei mi dice ?certo, c?è la Carmen di Bizet, col miglior direttore d?orchestra di tutta la Georgia?. Le domando se le piacerebbe andarci, e mi dice eccome, magari anche con altri colleghi. Di ritorno in ufficio, chiediamo in giro, vogliono tutti venire, e così organizziamo per mercoledì. Temo, l?altro autista, va a comperare i biglietti, sono 10 Lari (5 dollari) a testa e siamo sistemati in due palchi. Lo spettacolo inizia alle sei, usciamo prima dall?ufficio, Nana è elegantissima, Avto tutto in tiro, Nia particolarmente chic, avevamo tutti fatto uno sforzo (il codice vestimentario di MSF è scaciati). All?ingresso del teatro che da fuori sembra una moschea, una gran calca. Pigiatissimi, siamo fatti passare uno per uno da un?intendente che ci scruta sospettosa e controlla attentamente i nostri biglietti. All?interno, troviamo facilmente i nostri palchi e ci sistemiamo abbastanza comodamente. La sala è piena, e la maggioranza del pubblico è piuttosto elegante. Il teatro è stato costruito nel 1875, è classico di forma e dimensioni con quattro file di palchi, ma con dei motivi persianeggianti, come la facciata. E pulito, in ordine, ben tenuto, purtroppo scade completamente al livello dei servizi igienici, peggio dei cessi della stazione di Guardaggiù. Lo spettacolo è stato bello, e persino io, che sono totalmente ignaro e indifferente alla musica, mi sono divertito. All?uscita, siamo assaliti dai mendicanti. Chissà se succedeva la stessa cosa nelle città europee dell?ottocento? Stendhal descrive i raccattatori di cacche, che all?uscita della Scala, a Milano, seguivano le carrozze per ricuperare gli escrementi dei cavalli. Qui la povera gente è più moderna, chiede soldi. Abbiamo finito la serata a casa, dove ho improvvisato una pastasciutta. Nana e Nia hanno voluto una lezione su come arrotolare gli spaghetti sulla forchetta.
Il week-end seguente, decido di andare a Yerevan a trovare amici e colleghi del mio soggiorno armeno. Voglio provare ad andarci di notte in treno, 350 km in 14 ore. Venerdì pomeriggio, mentre con Nana sto discutendo condizioni con un distributore di materiale per fare il test dell?HIV, Temo va alla stazione ad acquistarmi il biglietto. Mi dice che sono ventidue Lari, ma che ne ha pagati venticinque in modo da farmi avere uno scompartimento tutto per me. La stazione è moderna, brutta, sporca e scura. Ci sono vari venditori di cibo e bevande, e non mi è difficile acquistare una forma di pane, un salame e una bottiglia d?acqua per il viaggio. Trovo il treno, ci sono delle tendine alle finestre con scritto ?Armenia?, il mio vagone è il più bello, con un corridoio col tappeto e scompartimenti con quattro grandi cuccette. Su quelle di sopra, ci sono veri e propri materassi arrotolati e cuscini. Pago due Lari al controllore, e quello mi porta una coperta, e lenzuola pulite chiuse dentro del cellophane. Puntualissimo, alle sei, il treno parte. E lento, ma così lento, che vien quasi voglia di andare a piedi. Si ferma cinquanta volte per pochi minuti, fino ad arrivare all?ultima stazione prima della frontiera. Lì resta immobile per ben due ore, non capisco cosa succeda, intanto un controllore ridendo mi chiede di alzare un sedile, e mi mostra scatoloni di banane. Dalla sua mimica capisco che le sta portando di contrabbando a Yerevan. Poi arrivano due soldati, mi chiedono di dargli il passaporto, e spariscono. Finalmente tornano, e mi fanno segno di seguirli. Io sono molto preoccupato, ma quelli mi dicono ?problema ara ri? (nessun problema ? chissà perché ?no problem? è un idioma universale?), usciamo dalla stazione, traversiamo una strada, e entriamo in una caserma. Andiamo dall?ufficiale di turno, quello sfoglia il mio passaporto, apre un?enorme cassaforte, e ne tira fuori un timbro. Poi prende un foglio di carta, e fa delle prove di funzionamento del timbro stesso. Il risultato non è mai quello voluto, nonostante ci alitasse sopra con energia. Alla fine, stufo o soddisfatto, non so, si decide a timbrarmi il passaporto. Riparto col soldato verso il treno, e quello pretende che gli dia cinque dollari. Allora rispondo d?accordo, ma li do all?ufficiale, sul che lui desiste e mi rende, con mio sollievo, il passaporto senza fare altre storie. Finalmente il treno riparte, ormai fa buio, avevo fatto il letto di sotto, ma per leggere devo andare in alto: lì c?è l?unica luce che funziona dello scompartimento. Stavo per andare a dormire, quando facciamo nuovamente una sosta interminabile; questa volta siamo in Armenia. Sono già seminudo sotto le lenzuola quando vengo tirato giù dal letto dalla polizia di frontiera Armena; fortunatamente si accontentano di un occhiata al passaporto. Finalmente si dorme, penso io; ma non ho fatto i conti col personale del treno che ha deciso di organizzare un grande happening proprio davanti alla mia porta con risate, schiamazzi e grida. Devo aprire lo porta e cacciare un urlaccio affinché si decidano a fare un po? di silenzio. Poi dormo bene sul serio, e vengo svegliato brutalmente dal controllore alle nove agitatissimo perché stiamo per arrivare. Esagera, si arriva solo alle dieci, ma mi fa una tale fretta che per errore metto la federa nella mia sacca; quello torna arrabbiato dopo dieci minuti e mi accusa di averla rubata. Difficile difendere la propria innocenza quando non si parla la stessa lingua! La fine del viaggio è stata passata contemplando il paesaggio armeno verde di primavera, cosa nuova per me, e osservando divertito l?altro controllore tirar fuori banane da varie botole sotto il tappeto del corridoio. Infine arriviamo alla stazione di Yerevan, Art Déco, grandiosa ma deserta.
Week-end tranquillo a Yerevan, e domenica mattina vado all?autostazione a prendere il pulmino per Tbilisi. Sono riconosciuto e calorosamente salutato dall?autista di un altro pulmino, che alcune settimane fa aveva trasportato gli amici da Tbilisi a Yerevan. Pare che a causa dei saluti che ci eravamo scambiati al momento dell?addio, per tutto il viaggio autista e passeggeri avessero scherzato ed ero stato soprannominato ?bye-bye-jan?. Intanto l?autista del pulmino giusto aspetta che questo si riempi, fortunatamente per me e gli altri passeggeri non si riempie del tutto, e si parte. Facciamo una strada che non conoscevo, lungo la ferrovia, cosa che mi permette di godere dei paesaggi che mi ero perso viaggiando di notte. Passiamo in una specie di gola in mezzo a montagne coperte da foreste, e ci fermiamo a mangiare in un posto bellissimo: facciamo infatti una lunga sosta in una specie di trattoria, con dei tavoli in un prato all?ombra di alberi in fiore. Si sente il rumore di un torrente, uccelli che cinguettano, le montagne svettano intorno a noi, e la carne sfrigola sul fuoco. Se quella locanda fosse anche un albergo, la consiglierei a qualunque coppietta cercasse un luogo particolarmente romantico. Ripartiamo, usciamo dalle montagne, e arriviamo alla frontiera. Lì, toh guarda caso che sorpresa, grana: la polizia armena vede il mio timbro di uscita del quattro marzo, non ce ne sono altri di ingresso, e mi chiede se sono entrato di frodo. Io avevo benedetto quelli che di notte nel treno non mi avevano disturbato più di tanto, ma il timbro è necessario! Per fortuna gli mostro il timbro di uscita Georgiano e quelli si accontentano. La strada dal lato georgiano, benché in pianura, è in uno stato pietoso, mentre in Armenia era buona, e il viaggio diventa lento e faticoso. Comunque, dopo aver fatto salire un tipo grasso con tendenza ad addormentarsi e accasciarsi su di me, arriviamo a Tbilisi, e posso tornare a casa stanco ma contento.
Mercoledì qui era vacanza, era la festa dell?indipendenza. Alcuni giorni prima Nana mi aveva mostrato di sfuggita l?ippodromo, dicendomi che si possono affittare cavalli. Così decido di andare a vedere insieme alla mia collega Sylvia, che si porta dietro suo figlio di un anno Daniel. Si tratta di uno spazio verde molto grande, dove c?è un immenso prato mal tenuto con una tribuna, un boschetto, due maneggi all?aperto, e una specie di gran giardino pubblico. Ci sono varie scuderie, una della ?scuola?, le altre private. Appena arrivati, andiamo verso il maneggio più grande, dove ci sono varie persone a cavallo, ognuno per i fatti suoi. Chiediamo in giro se qualcuno parla inglese, arriva un ragazzino, gli chiediamo se è possibile montare, a chi rivolgerci, eccetera; quello smonta da cavallo, mi mette le redini in mano e mi dice: ?Ecco. Sono cinque Lari l?ora?. Ah, be?, d?accordo; monto, mentre Sylvia, a causa di Daniel, non vuole un cavallo. Il mio è vecchio e stanco, e non c?è verso di farlo andare avanti; ma sono stato notato da una stupenda ragazza Georgiana che, dal bordo del maneggio, mi ha fatto un sacco di domande su da dove venivo e quanto tempo sarei rimasto a Tbilisi. E stata anche bene attenta a farmi sapere che il bambino con lei era suo fratellino, che lei non era sposata. Di ritorno dall?ippodromo, decido di andare al mercato; ma avviandomi verso la stazione del metrò noto l?insegna di un barbiere. Avendone assolutamente bisogno, entro. Sotto il portone di una vecchia casa, si salgono alcuni gradini, e si entra in una botteguccia con una sola poltrona. Riesco a spiegare più o meno a gesti, e con dei ?da?, ?niet?, ?dirh? (si), ?ara? (no), eccetera, come voglio il taglio, e comincia la seduta. Quello mi chiede ?american?? Ara, rispondo, Italiano. Allora lui mi dice: Italia Verdi, Puccini, Pavarotti! Fa piacere per una volta non sentirmi dire Italia Juventus. Quando gli ho fatto capire che mi era piaciuta la Carmen, ha approvato vigorosamente. Alla fine sono stato soddisfatto del taglio, e il costo di due Lari e mezzo non mi ha tolto il pane di bocca.
Giovedì sera sono arrivati dall?Armenia per venirmi a trovare i miei vecchi colleghi Ioanna, Spiros e Kathleen. Da loro la festa dell?indipendenza era venerdì, e non mercoledì, e così hanno fatto un week-end lungo. Venerdì, mi aspettava una brutta sorpresa: quelle brutte bestie avevano comperato anche per me dei biglietti per l?opera, ma quella sera non c?era una vera Opera, ma bensì Elena Obrazova, una vecchia gloria del Bolshoi, che cantava arie tratte da varie opere. Non era brava, il tutto era noioso, ma per fortuna è durato solo due ore. Il giorno dopo siamo andati a Mtskheta (provate a pronunciare?), l?antica capitale. Sulla riva del fiume, circondata da muri merlati, c?è una grande basilica molto bella. La guida, che si era imposta a noi appena arrivati, ci spiega sussurrando (c?era una messa in corso) che le colonne sono di due epoche diverse, ma di colonne non ce ne sono. Siamo poi andati a passeggiare lungo il fiume, in mezzo a maiali pascolanti. Tornati in città, abbiamo fatto la spesa perché la sera avevo invitato un po? di gente. Ho preparato il mio sugo Georgiano, sarebbe a dire pomodoro fresco, storione affumicato, aglio, prezzemolo e olio extravergine di girasole (cioè un olio venduto sfuso al mercato, che sa veramente di girasole). Come secondo, due grossi polli arrosto con patate novelle, carote e cipolle. Marianne e Sylvia avevano preparato grandi insalate. Ho cucinato di sotto, ma abbiamo ricevuto gli ospiti di sopra, dove c?è più spazio e c?è un terrazzino. Tra i colleghi, il personale locale, gente di MSF-Francia e di altre ONG, eravamo 23. E stato un successone, mi hanno fatto tanti complimenti, poi abbiamo ballato Salsa e Merengue.
Domenica mattina ho portato gli ospiti dall?Armenia all?Ippodromo, e abbiamo affittato tre cavalli. Dopo varie suppliche, ci hanno portati sul grande prato centrale, dove era in corso una gara di salto. L?unico modo di fare correre un po? il mio cavallo era di avvicinarmi alla competizione, che lo innervosiva. A un certo punto mi sono preso uno spavento quando è partito al galoppo col chiaro intento di andare a litigare coi cavalli in gara, e sono quasi caduto. Comunque è tutto andato bene, e abbiamo concluso il week-end con una gran mangiata in un ristorante all?aperto a base di specialità e birra locali.