MSF missions

10/05/1999

Georgia, estate 1999 #1 - Finalmente racconto

Autore: Roberto La Tour

Una nuova missione di Roberto La Tour per conto di MSF. Ecco la prima puntata sulla Georgia.

Eccomi finalmente. Lo so, lo so, quando a dicembre ero arrivato in Armenia, avevo subito scritto, e dopo tre settimane avevo inviato una seconda, lunga e-mail, mentre da quando sono in Georgia non ho mandato che qualche breve, sporadico messaggio. Il fatto è che laggiù ero piombato in pieno inverno in un mondo che per me era veramente esotico. Giumry soprattutto, buia, fredda, semidistrutta, mi aveva fatto una fortissima impressione. Inoltre la vita in comune con due simpatici sconosciuti, in quella casa piuttosto strampalata aveva colpito la mia immaginazione e mi aveva dato voglia di far partecipare a famiglia e amici le mie impressioni. Ora invece sono di base a Tbilisi, capitale della Georgia, città di più di un milione di abitanti. E molto bella, più di Giumry (non ci vuole tanto), e anche decisamente più di Yerevan anche se di dimensione simile a quest'ultima. Trovandomi perciò in un posto che all'inizio mi ha dato l'impressione di una certa normalità, non sapevo molto cosa raccontare. Adesso però cercherò di darvi un'idea della mia vita nel paese di Stalin e Shevarnadze.

Parito per Atene dove ho incontrato Paraskevi (Venerdì), giovane dottoressa greca che avrebbe dovuto accompagnarmi in Georgia, sono andato con lei al consolato per ottenere il visto. Ci chiedono di consegnare il passaporto, due foto e un formulario riempito. Dopo un'ora di attesa, viene fuori il console che mi chiede come mai ho indicato sesso femminile e ho scritto nazionalità greca quando il mio passaporto è italiano e sono uomo. Risulta che la segretaria si è sbagliata, e il console l'ha coperta di insolenze. Infine usciamo coi nostri visti, solo all'aeroporto di Tbilisi mi accorgerò che il mio scadeva nel '97. La sera vado a vedere Depardieu e Benigni in francese in "Asterix e Obelix", grande delusione, anche se Benigni è bravo. Il mattino dopo, appuntamento all'aeroporto per la grande partenza, con Venerdì e Theodora, responsabile del personale per MSF-Grecia. Facciamo un giro piuttosto lungo, viaggiando con Austrian Airlines via Vienna, e arriviamo a Tbilissi in fin di pomeriggio. Dopo alcune difficoltà all'aeroporto dove ho dovuto spiegare che il mio visto non poteva essere più vecchio del mio passaporto, e che si sono sbagliati al consolato, riusciamo a emergere e troviamo Florian, il capomissione, che ci è venuti a prendere con sua moglie Eka, amministratrice Georgiana della missione. Ci porta in albergo, perchè pare che la casa sarà pronta solo il primo maggio. Siamo i primi clienti, l'albergo, una sorta di piccola pensione famigliare con tre camere di fianco al teatro dell'opera, ha aperto quel giorno. Molto piacevole, carino, con dei giovani che si occupavano di noi, dovevamo però sempre sapere in anticipo l'orario dei nosri pasti. Sembra quasi che ci apettassero, nascosti dietro una porta, per saltarci addosso con la fatidica domanda: "what time breakfast?" o "what time dinner?". Chissà poi perchè ci tenessero tanto a saperlo per la prima colazione, visto che il tavolo era coperto di salumi, uova di salmone e altre cose fredde, e per ottenere acqua calda per il Nescafé o il thé era una battaglia ogni mattina.

Arrivati di venerdì sera, abbiamo iniziato la nostra vita qui un week-end. Giro in ufficio di sabato, birra in un bar il pomeriggio con i miei futuri colleghi, poi lasciati tranquilli per il resto del fine settimana, e Theodora ha trovato che siamo stati vergognosamente abbandonati a noi stessi. Domenica passeggiata nel centro storico, giro al mercato delle pulci in riva al fiume, e ottima colazione in un ristorante all'aperto. La sera, mentre Venerdì se ne stava per i fatti suoi, ho iniziato Theodora alle gioie di "Titanic", uno stupendo gioco per computer. Male che ho fatto, perchè ne è diventata totalmente dipendente. Lunedì, prima giornata di lavoro, con presentazione dei colleghi locali, "briefing" sulla Georgia, visita del Centro MSF, posto di cui riparlerò, eccetera. La sera, in albergo, primo guaio: Theodora, preoccupatissima, mi dice che Venerdì non è convinta, non ha cominciato subito a visitare malati, che so, e forse vuole andarsene. Detto, fatto: il giorno dopo non viene in ufficio, e il pomeriggio ha già ripreso l'aereo! Bum! Che roba! Risultato, la squadra MSF, che doveva essere composta da una psicologa, un'infermiera (sono tutte e due già qui da due mesi), un biologo (io) E UN MEDICO, si ritrova senza il medico, forse la figura più importante. Theodora era nera. Per consolarla, la sera l'ho trascinata nei corridoi del Titanic in cerca di collane scomparse, non prima di essere usciti a mangiare e bere insieme a dei colleghi di MSF-Francia.

Nonostante questo grosso guaio iniziale, la vita qui si è organizzata tranquillamente. MSF-grecia è installata in due luoghi. Innanzi tutto l'ufficio, dove stanno Florian, Eka, Marianne, infermiera danese, Nana e Nia, dottoresse Georgiane che fanno parte del personale locale, e io. Poi c'è il Centro MSF, a pochi isolati di distanza, dove viene fatto counselling su problemi di contraccezione e malattie sessualmente tramissibli, dove lavorano Sylvia, psicologa messicana, oltre a Nino, Nato e Georgi, che rispondono anonimamente per telefono o di persona a chiunque chiami o venga con domande o problemi in questo campo. Apro una breve parentesi sui nomi locali: Nino, Nato, Nana, Manana, sono tutti nomi femminili tipicamente Georgiani; non sono nomignoli ne soprannomi. Solo Eka è un diminutivo di Ekaterina, mentre Nia è un nomignolo di... Nino. L'ufficio è spazioso, luminoso, con una bella vista; c'è anche una cucina.

Ho cominciato ad andare in giro; quando vado negli "STD (Sexually Transmitted diseases) dispensaries", all'STD Institute, o all'AIDS center sono accompagnato da Nana, ma se vado a visitare un WC (Women Consultation), allora vado con Marianne e Nia. E molto appropriato chiamarli WC, perchè sono veri e propri cessi, almeno i due che ho visitato. Il primo, ci sono andato due giorni dopo essere arrivato, il giorno della partenza di Venerdì. Abbiamo visitato tra l'altro la sala delle ecografie, dove in un bugigattolo di si e nò tre metri quadrati, ci siamo stipati il medico, il direttore del centro, Marianne, Nia, io; ovviamente la donna incinta, che si denudava la pancia imbarazzata dalla nostra presenza, e naturalmente la mamma della paziente. A catena, queste poverette entravano, noi ci schiacciavamo contro il muro per farle entrare, e il direttore insisteva che noi restassimo e guardassimo tutto. Il medico usava un vecchio strumento scasso, ci mostrava delle ombre (secondo me non si vedeva niente), e pontificava sulla posizione del feto. Secondo Marianne, che ha esperienza, non si vedeva proprio niente. Il direttore ci ha poi fatti sedere nel suo ufficio dove siamo stati obbligati ad accettare, in fin di mattinata, grossi dolci pesanti, caffè e vodka. Nei giorni seguenti ho visitato con Nana alcuni STD dispensaries, sorta di ambulatori per malattie dermatologiche e veneree, l'STD Institute, che li coordina e ha personale più competente, l'AIDS center, nell'ospedale delle malattie infettive, e lo Zhordanian Institute, ospedale specializzato in salute riproduttiva. Questi ultimi tre sono un po' meglio attrezzati, anche se le cose non sono affatto rosee. Per esempio, l'AIDS center, che pur dispone di un  laboratorio abbastanza sofisticato, da una settimana non è più in grado di fare alcun test dell'AIDS, per mancanza di kits e di fondi per acquistarli, e nessun posto in tutto il paese è in grado di fare i test, nemmeno per le trasfusioni. Gli STD dispensaries, poi, sono specie di antri oscuri dove mi domando se sono in grado di diagnosticare efficacemente una Gonorrea.

Una settimana dopo essere arrivato, ho voluto andare a Gyumri, a trovare amici e colleghi del mio soggiorno Armeno. L'autista di qui mi ha portato venerdì sera fino alla frontiera, dove mi aspettava l'autista del progetto di Gyumri. La strada è molto bella, soprattutto dal lato Georgiano, ma è in uno stato pietoso; siamo ai limiti dello sterrato. Si traversano cittadine e paesi, con molto poco traffico, tranne pullmann scassi e puzzolenti. Si vedono famiglie intere spostarsi su carretti trainati da cavalli, ma le ruote sono ricuperate da vecchie auto. Ben presto siamo in montagna, con gole, torrenti e foreste. Molti animali pascolano in libertà, ma non si tratta ne di vacche, ne di pecore, ma bensì di maiali. Spesso si vedono gruppi di bellissimi maialini rosa che seguono una grossa scrofa dalle mammelle gonfie di latte. Vorrei un giorno mangiare carne di maiale da quelle parti; deve essere molto migliore di quella proveniente da animali allevati industrialmente. Arriviamo alla frontiera, dove David, l'altro autista, non c'era ancora. Faceva un freddo becco, probabilmente eravamo a duemila metri. In mezzo alla nebbia, i soldati di guardia coperti da uno strano impermeabile con impalcatura davano un'impressione fantomatica come delle campane su gambe. Finalmente David arriva, mi controllano e timbrano il passaporto in quattro posti diversi, e eccomi in Armenia. Il paesaggio è subito più brullo, desolato, ma bello anche lì. Arrivato finalmente a Gyumri, scopro che tutti, ma proprio tutti, erano a casa ad aspermi e avevano preparato un fenomenale horovatz per festeggiarmi. Peccato domenica sera dover ritornare a Tbilisi.

Dopo una seconda settimana di vita in albergo con costanti agguati "a che ora vuol mangiare?" e prime colazioni con il Nescafé ma senza l'acqua calda, finalmente arriva il momento di entrare nei nostri nuovi alloggi. Si tratta di una casa composta da due appartamenti sovrapposti; Marianne, Sylvia e suo figlio Daniel, che già abitavano insieme si sono installate al pian di sopra, e io, da solo vista la scomparsa di Venerdì, al pian di sotto. Loro, sopra, hanno camere mansardate, un grande salotto, un terrazzino con una vista su tutta la città, un arredamento decente, uno sputo di cucinino di due metri quadrati e un bagno non granché. Io invece ho poca vista e luce, un arredamento a credenze e vetrinette da far venire i brividi, una vera cucina abbastanza grande e ben equipaggiata ma con ahimè un frigo che fa le bizze, un bagno come si deve e un gabinetto separato fortunatamente dotato di lavandino e con il trono in cima a una scala. Ho un salotto/sala da pranzo, un'immensa camera da letto, e c'è una seconda camera con due letti che spero veniate ad occupare prima che trovino un sostituto a Venerdì.  

Quello stesso week-end siamo andati in giro per Tbilisi. La città è costruita tutta in lunghezza lungo il fiume, in mezzo alle colline, dominata da una cittadella fortificata. C'è un centro storico abbastanza carino con case dotate di balconi coperti lavorati, e vasti quartieri fine ottocento con viali alberati. In un punto abbastanza centrale il fiume passa dentro una gola rocciosa, e sull'orlo del faraglione si affacciano alcune di quelle vecchie case. La sera abbiamo mangiato in un ristorante su uno zatterone, anche se faceva freschetto abbiamo chiesto di farci mettere un tavolo fuori. Si vedeva la fortezza illuminata, la luna si rifletteva sull'acqua, e all'interno un'orchestra Zingara intratteneva i clienti con canti e balli.  Il week-end seguente, cioè ieri, sono andato alla scoperta del grande mercato, della stazione ferroviaria e della metropolitana. Gli amici dall?armenia venivano a trovarmi, io purtroppo ho un visto a ingresso unico (non lo sapevo, e ho rischiato di rimanere bloccato in Armenia quando sono andato a Gyumri) e sono in attesa di quello multiplo. Ho deciso di andare a prenderli usando la metropolitana, imparando così ad utilizzarla. Si prende una scala mobile che scende profondissima, mai visto una cosa simile, mi aspettavo da un momento all'altro di incontrare Belzebù, mamma mia, e mi ritrovo in una stazione abbastanza bella, pulita, con tutto scritto solo in Georgiano, cioè ghirigori. Tra la mappa che avevo, qualcuno che qualche parola di inglese la parlava, sono riuscito ad arrivare lì dove si cambia linea, così almeno credevo, mi fanno riprendere la stessa linea, finalmente arrivo alla grande stazione dei pullmann. Chiasso, confusione, bus in partenza per mosca, un grande mercato di cose più o meno varie, pozzanghere e fango dappertutto visto che aveva appena smesso di piovere, e infine mi rendo conto che i pullmann dall'Armenia arrivano in un'altra stazione, dall'altra parte della città. Stupendo. Magnifico. E mo' che faccio? Voglio prendere un taxi, ma una signora molto gentile che parla un po' d'inglese s'intromette, e con gran rabbia del tassista mi dice che faccio molto più in fretta in metrò. Dalla mappa attaccata al muro in ogni carrozza, risulta che la stazione giusta è all'altra estremità della stessa linea. Ormai avevo imparato a riconoscere i nomi di alcune stazioni annunciati dagli altoparlanti, e quale non è stata la mia sorpresa di ritrovarmi vicino a casa, su quella che dovrebbe essere l'altra linea! Troppo tardi per andare a prenderli, esco di corsa dalla metropolitana in modo che il cellulare che mi hanno appena rifilato prenda e ben che ho fatto, perchè in strada verso casa sento che squilla "siamo noi, siamo in centro a Tbilisi..."

Il grande mercato, vicino alla stazione ferroviaria, è pazzesco. Nelle strade vicine, un sacco di gente che vende, vendicchia, venducchia, spesso senza bancarella, peperoncini, cavoli, formaggi, sacchetti di plastica. File di botteguccie che cambiano dollari, vendono CD piratati o concentrato di pomodoro, poi si arriva ai mercati coperti: quello dell'abbigliamento, ci si perde in gallerie di giacche di velluto viola, mutande turche, collant italiani, scarpe belle e brutte; quello della frutta e verdura, vasto; e poi il più impressionante dei tre, quello di carne, pesce, formaggio, farina e miele. Immenso, con le voci che rimbombano, si vendono montoni macellati interi, maialini da latte già farciti, sono esposte montagne di farine di ogni genere, i venditori di miele, ma anche quelli di olio, te li fanno assaggiare ungendoti le dita con punte di coltello, mentre ragazzini ti sbattono sotto il naso mazzi di dragoncello. I polli sono a mucchi ben ordinati, mentre i cuori di bue sono esposti nel tentativo di far venire l'acquolina in bocca al cliente potenziale. Ci sono mendicanti, ma non di più che in città; dove sono particolarmente numerosi è nel metrò. Le scale d'accesso alla fermata della stazione dei pullmann dove sono andato per errore offrono una scena da corte dei miracoli. Quel che colpisce soprattutto è il numero di vecchi mendicanti, gente molto anziana, curva, tremante, che chiede l'elemosina per la strada. Molto comune è anche la presenza agli angoli delle strade di vecchiette che vendono semi di girasole.

Per finire, vi racconterò ciò che è capitato martedì scorso, anche se credo di averne già parlato in inglese. Avto, l'autista, viene a prenderci come ogni mattina. Ci porta in ufficio, Silvia prende le chiavi, apre, e... caccia un urlo: siamo accolti da una nuvola di fumo nero acre, soffocante, dal terribile odore di gomma bruciata. Ci accertiamo che non c'è fuoco, tratteniamo il fiato, ci precipitiamo dentro e spalanchiamo tutto. Dopo un po' l'aria si fa di nuovo respirabile, e ci accorgiamo che tutto, ma proprio tutto, pavimenti, pareti, soffitto, tavoli, computer, telefoni, fax, fotocopiatrice, caffettiera, tazze, bicchieri, matite, carte, libri, fogli, quaderni, sono coperti da fuliggine nera. Cos'era successo? Aveva preso fuoco lo stabilizzatore a batterie, l'apparecchio che serve a mantenere l'alimentazione elettrica quando salta la luce. Per tre giorni ci siamo stabiliti all'MSF center, che non è poi così male perchè Nino e Nato sono molto carine.


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