Africa

29/10/2004

Tunisi - Agadez - Diario (2)

Autore: Alberico Barattieri

L'altopiano dello Djado

31-10-2004

E' il giorno dell'altopiano dello Djado. Per accedervi bisogna passare alla postazione militare che si trova prima di incontrare l'abitato di Chirfa. Il luogo, arroccato su un rilievo roccioso che emerge dalla sabbia è scenografico, i militari gentili ed affabili. Lasciamo loro i nostri passaporti che ritroveremo vistati al ritorno dal giro sullo Djado. In realtà le zone che visiteremo si trovano ai piedi del vero e proprio altopiano. Come molte delle oasi anche quelle di Djaba e Djado sono poste ai piedi di una falesia, luogo di raccolta delle acque delle rare precipitazioni. La zona è incantevole. Alti "piton" di roccia allineati verso nord ovest si elevano dalle sabbie.

Per raggiungere Djaba dobbiamo superare una falesia trasversale al nostro senso di marcia ricoperta di sabbia di riporto. Si potrebbe aggirarla con un giro non lungo ma, forse per saggiare le nostre capacità sulla sabbia, la guida decide di affrontare la salita sul sabbione. Al primo colpo passa Ago, al secondo la Sgarambona ma Marcello, al battesimo della sabbia in salita, dopo un paio di tentativi decide di aggirare l'ostacolo. Scopriremo più tardi che le sue gomme sono gonfiate ad una pressione di 3.3 bar, troppo elevata per non scavare ed affondare nella sabbia.

Scavalcata la falesia giriamo a destra costeggiandola per raggiungere il primo dei luoghi mitici della giornata: Djaba. Antica cittadella fortificata, in banco, ormai abbandonata da tempo a causa della malaria ed in via di lento degrado. Sembra un castello delle favole, un gioco di bimbo con la sabbia. La sua palmerai è completamente disabitata e forse anche il silenzio che la avvolge contribuisce ad aumentarne il fascino. Si potrebbe restare ore (con una buona scorta d'acqua, viste le temperature) in contemplazione ma, purtroppo, siamo pur sempre turisti con tempi da rispettare e dobbiamo proseguire. 

La tappa seguente è all'arco di Orida, che si erge maestoso dalle sabbie. Proseguiamo ancora verso nord ovest alla ricerca di una guelta ai piedi di uno dei grandi piton. Il luogo è molto piacevole ma la guelta è secca. E siamo alla fine della stagione "umida"!

Invertiamo la rotta e ci dirigiamo, sotto un sole impietoso, verso la più famosa cittadella fortificata: Djado. All'ingresso della palmerai, su una serie di grandi rocce si stagliano delle incisioni rupestri interessanti: animali, scene di caccia e figure umanoidi. Entriamo decisamente nell'oasi puntando verso le rovine di Djado ma la sabbia è estremamente molle e prima Marcello, poi anche la guida, si insabbiano. Si spala, si spinge e poi, come ultima ratio, si sgonfiano le gomme. Ne veniamo fuori e ci rechiamo fino all'ingresso della cittadella per la sosta pranzo. A differenza di Djaba la cui oasi è deserta, quella di Djado è popolata da un buon numero di persone. Molte donne e bambini ci approcciano per vendere prodotti artigianali e per l'immancabile richiesta di cadeaux ("messiè, cadò!").

Mentre i miei compagni di viaggio si dedicano al recupero dei sali minerali (insomma, mangiano e sbevazzano), mi inoltro nella palmerai interna alle mura della città. Subito vengo colpito dallo stato di abbandono delle piante. Avevo letto su una guida recente che gli ex abitanti della città tornano ogni anno per la manutenzione delle palme e la raccolta dei datteri ma, evidentemente, non è più così da tempo. Un vero peccato perché il luogo è bellissimo e l'acqua non deve mancare, visto il numero di zeribe abitate che abbiamo visto. Alla notte pare che si levino stormi di zanzare ma questo evidentemente non spaventa più di tanto gli abitanti.
In una sabbia mollissima giriamo intorno alla città per dirigerci alla volta dell'abitato di Chirfa. Faccio un tratto appeso all'auto di Ago per filmare "da fuori" la marcia nella sabbia. Molto divertente.

Chirfa è una cittadina con alcune case in banco, molte zeribe e le rovine di un vecchio forte del periodo coloniale francese. Le persone sono cordiali e sorridenti. Al pozzo del paese rinnoviamo le scorte di acqua e alcune componenti del gruppo non resistono alla possibilità di lavarsi i capelli. Dal secchio di un ragazzo saltano fuori bibite in lattina fresche (a me tocca il solito ignobile ginger-soda) che ci faranno sudare per i seguenti 10 minuti.

Rimontati in macchina ci dirigiamo alla postazione militare per recuperare i nostri passaporti e ripartire alla volta di Dirkou dove verranno svolte le principali formalità doganali di ingresso in Niger.
Mahamoudane sceglie di percorrere un primo tratto sulla pista ma dopo breve tempo se ne discosta puntando più a sud per raggiungere una zona di bassi rilevi insabbiati dove troviamo diversi bei posti per fare campo. Al scendere del sole, ci fermiamo. E' stata una giornata intensa. I nostri occhi si sono riempiti di immagini splendide e siamo tutti un po' più silenziosi del solito.

Campo a sud di Chirfa - Bilma

01-11-2004

Sveglia presto per raggiungere in mattinata Dirkou. Usciti dalla zona di basse falesie in cui abbiamo fatto campo teniamo la direzione sud est in fuori pista per raggiungere la pista Seguedine-Dirkou a sud del Pic Zoumri. Mano a mano l'orizzonte si appiattisce e ci consente medie elevate. Sulla sinistra, verso est, cominciamo a distinguere la falesia del Kaouar; raggiunta, la costeggiamo a debita distanza per evitare le zone di sabbia molle che corrono lungo la sua base. Nonostante questa precauzione, capita comunque di avvicinarsi troppo e di finire insabbiati. 

Jerome è (stato) un personaggio mitico, da queste parti. Pur essendo un arabo, dunque non nativo del luogo, con la sua abilità ha messo in piedi un vero e proprio impero commerciale. E' il "fornitore ufficiale" oltre che dei turisti, anche della compagnia petrolifera cinese che sta facendo ricerche nel Ténéré, sia per quanto riguarda la benzina, sia per quanto riguarda le vettovaglie (ed il cambio di valuta). La sua influenza si è ulteriormente consolidata quando suo figlio ha sposato la figlia dell'attuale presidente Thaya.
L'ospitalità è ottima, stuoie e materassi all'ombra, bibite gelate e, naturalmente, the. Questa volta riesco a schivare il solito ginger e mi becco una Fanta. Tutti i lavori sono svolti da personale costituito da immigrati che sono "insabbiati" a Dirkou e che sopravvivono svolgendo i lavori più umili presso le famiglie benestanti. La mia personale impressione è quella di persone ridotte in condizione di semi-schiavitù. Il traffico che si crea nel cortile di Jerome è incredibile: fusti da 200 litri che rotolano qua e là, bambini e venditrici di oggetti preistorici, un cucciolo di gazzella che scappa intimidito, un pavone che si pavoneggia, ordini e contro ordini..
Alla fine acqua, benzina e vettovaglie recuperate al vicino mercato sono a bordo, i passaporti ritornano timbrati e, inseguiti dai bambini che si appendono alle automobili, lasciamo la confusione di Dirkou.

Lungo la strada un 61 locale che ci precede, forse a causa delle maledizioni che gli tiriamo per la polvere che ci sta facendo mangiare, si insabbia e noi, cuori d'oro, gli diamo una mano per tirarsi fuori.
A Bilma era una vita che volevo arrivarci. Finalmente è arrivato il momento!
Per nostra fortuna abbiamo un paio d'ore di anticipo sui tempi previsti e ciò ci permette di poter visitare la famosa "source". Tra i documentaristi esiste chi enfaticamente descrive il luogo come idilliaco e in me covava da tempo l'idea di farci un bagno. Ma la realtà è un po' diversa da come la immaginavo, nel bene e nel male. Diciamo che l'approccio di tipo olfattivo non induce al bagno, anche se ho visto diversi distinti signori locali che ne uscivano. L'acqua però continua il suo corso lungo una serie di stretti canali (con tanto di fauna ittica) ed alimenta giardini ed orti oltre ad un grande stagno in cui i bambini sembrano padroni. Con tutta questa acqua non oso immaginare la dimensione delle zanzare che si devono levare dopo il tramonto.  Considerata l'aridità che vi è tutto attorno per centinaia di chilometri, si ha l'impressione di entrare in un piccolo mondo parallelo ed opposto.

Ritirati i passaporti dalla polizia riattraversiamo il centro di Bilma, con i suoi ombrosi viali di acacie centenarie e ci dirigiamo verso le famose saline. All'imbocco della pista un touareg, con la sua takouba "di ordinanza", ci chiede un passaggio e prende il posto di Athos che si appende alla bagagliera: come bambino a Dirkou avrebbe un futuro!

Arriviamo alle saline con il sole che comincia a colorarsi di arancione. La luce è splendida ma lo spettacolo che ci si presenta di fronte è fantastico. Centinaia di dromedari in mezzo a carichi di sale quasi completati. Decine di touareg intenti a confezionare i carichi, dar da mangiare alle bestie, cucinare la cena. Sembra (è) una scena senza tempo, uguale a se stessa da centinaia di anni. Solo qualche raro sacco di plastica tradisce la contemporaneità. Non avremmo mai immaginato di essere così fortunati da arrivare qui all'ora giusta e soprattutto al momento giusto: l'azalai (la carovana del sale) avviene tra ottobre e gennaio ma le carovane non sono molte. Siamo tutti in preda ad una (disdicevole ma comprensibile) trance foto-cinematografica. Nonostante ciò riesco a godermi appieno il luogo. Diamo un occhiata anche alle saline, con acque di color bruno rossiccio. Purtroppo l'incidenza della luce, ormai bassa, non ci permette di vederne meglio le diverse tonalità.
Sveglia! Uscire dalla trance! Bisogna andare a cercare un posto dove fare campo prima che faccia buio.

Monto in macchina. Cerco di riassumere nella mia testa quanto ho appena vissuto mentre ci addentriamo tra le prime dune del Ténéré. Ad un tratto all'orizzonte una striscia scura, proprio sotto le luci del tramonto. "Una carovana. Ferma!". Scendo dalla macchina, corro a ritroso un centinaio di metri per allinearmi otticamente e mi godo, sdraiato sulla sabbia, questo incontro sul fondo rosso fuoco del cielo. Difficile rialzarsi, anche quando la luce si è affievolita ma il campo ci aspetta. Lo prepariamo ai piedi di una grande duna poco distante che saliamo per qualche lungo minuto di silenzio.

Questa sera Mahamoudane ed i suoi sodali partecipano al nostro pranzo. Naturalmente li poniamo ad una estremità del tavolo in modo da poter tener lontano dai loro occhi cibi impuri come il prosciutto e, peggio ancora, gli alcolici. Poi, sedutici intorno al fuoco sorseggiando il the che il suo assistente produce a ritmo frenetico, la nostra guida col suo tono caratteristico sommesso, quasi un bisbiglio, risponde alle nostre domande sul mondo dell'azalai.

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