Tunisi - Agadez - Diario (3)
Bilma - Fachi
02-11-2004
Oggi si affronta il Ténéré. Il sole non si è ancora levato che partiamo veloci in direzione di Fachi. Il percorso non presenta particolari problemi di orientamento in quanto si segue il corso dei cordoni di dune. Quando il sole si alza abbiamo una visione: crediamo sia un effetto ottico ma il deserto di fronte a noi pare verde. Mano a mano che ci avviciniamo constatiamo che si tratta di lunghi fili d'erba non troppo fitti. Un altro regalo che il Ténéré ci fa. Non è una scena così frequente. Corriamo su questo prato per diversi chilometri, quasi preoccupati di schiacciare questo miracolo della natura che sfida l'aridità. Incontriamo due donne dalle vesti coloratissime con il loro cammello. Si tratta di pastori che hanno condotto il loro gregge di capre ad approfittare di questa manna verde che, come ci spiega Mhamudane, dura per un periodo molto breve, prima di arrendersi al secco e freddo inverno.
Un paio di insabbiamenti e poi, lungo la nostra stessa rotta ecco una carovana, anzi due, a poca distanza l'una dall'altra. Le superiamo per farci raggiungere e dare sfogo ai nostri famelici obiettivi. In religioso silenzio (o quasi) ascoltiamo il tipico schioccare del palato dei dromedari ed il ritmico sottofondo sonoro del loro avanzare nella sabbia. E' un momento di tempo sospeso. Quanto sarà durato? Non lo so. Forse cinque, dieci minuti. Immagini emozionanti ed indimenticabili.
A malincuore lasciamo dietro di noi, con il loro incedere lento, le carovane e ci lanciamo lungo il gassi che stiamo percorrendo dalla partenza. La sabbia in certi punti è molle ed ogni tanto qualcuno si insabbia, ma sono stop di pochi minuti. Cerchiamo un passaggio nel cordone alla nostra sinistra per poter scendere un pò di latitudine e dopo un paio di ricerche infruttuose finalmente scavalliamo il cordone. Siamo in rotta per la falesia dell'Agram che nasconde l'oasi di Fachi. Prima di arrivarvi incontriamo ancora una carovana che si dirige verso Bilma.
La falesia dell'Agram è una emersione rocciosa in un mare di sabbia. La attraversiamo più o meno a metà dove si apre una facile passe. La discesa sul lato ovest è spettacolare e porta ad una delle numerose palmerai che formano l'oasi. Sostiamo per lo spuntino sotto un paio di grandi acacie. Sotto il sole a picco ci dirigiamo verso Fachi e una volta raggiuntala la attraversiamo per recarci alle sue saline, a ridosso della falesia. La zona sembra disabitata ma tra le sue strutture notiamo come i magazzini siano pieni di pani di sale, così come molti spazi all'aperto, segno evidente che la fase di produzione è ormai terminata e si avvicina il momento della vendita alle carovane. Il sale di Fachi è considerato di qualità inferiore a quello di Bilma ed è principalmente utilizzato per l'alimentazione animale. Le saline vere e proprie hanno vasche più estese di quelle di Bilma ed i loro colori sono molto più vari: si passa dal verde all'arancio con infinite sfumature intermedie. Ogni vasca è contrassegnata da un piccolo pinnacolo di sale, la cui forma ne indica la proprietà. Se non fosse per il caldo, l'aria immobile e l'immancabile trattativa per qualche oggetto d'epoca, sarebbe un luogo perfino poetico.
Lasciamo le saline per raggiungere la città. Facciamo una sosta presso un affollatissimo pozzo. Mentre alcuni di noi visitano la scuola coranica per consegnare del materiale didattico, altri giocano e scherzano con la miriade di bambini che attorniano le automobili alla ricerca di stilo-bonbon. Ripartiamo verso Agadez, lungo la pista indicata da numerose balise: molte sono coricate o in cattivo stato.
Non percorriamo tanti chilometri. Al tramonto facciamo campo a ridosso di un cordone di dune.
Fachi - Campo ad ovest dell'Albero del Ténéré
03-11-2004
Il Ténéré non ci vuole dedicare delle albe colorate: anche stamattina solo per un breve momento il cielo si è colorato di giallo ed arancio, ma è durato pochissimo. Leviamo il campo abbastanza presto e proseguiamo in direzione dell'albero del Ténéré. Saliamo e scendiamo dolci declivi sabbiosi. Il percorso non è impegnativo e le tante balise regolarmente distanziate permettono di staccare gli occhi dal gps e guidare rilassati. Per interrompere la monotonia e fare qualcosa di utile decidiamo di raddrizzarne una coricata dal vento.
Proseguiamo velocemente e, a circa metà strada tra Fachi e l'albero del Ténéré, ci fermiamo presso un cantiere. Stanno scavando un pozzo che sarà un punto di rifornimento importante per le carovane, presumibilmente entro un anno. E' interessante notare il modo in cui viene realizzato. Viene prima preparata la bocca del pozzo, in cemento armato con grande spreco di tondini, poi si scava all'interno riportando ad ogni metro un nuovo anello di cemento. Il tutto, naturalmente, a mano: un lavoro da pazzi! Naturalmente gli addetti allo scavo vengono lasciati li con una baracca, un rimorchio autobotte pieno d'acqua e.. tanto tempo davanti.
Il Ténéré diventa sempre più piatto. La media aumenta e verso mezzogiorno arriviamo al mitico albero. Il primo che incontriamo è ciò che resta di quello installato qualche anno fa da dei giapponesi. Altri 200 metri e finalmente siamo lì, sotto l'albero, quello "vero". Oddio, vero.. Come si sa, si tratta di un simbolico palo metallico che sostituisce l'originale acacia, travolta (pare, ma sembra una leggenda "metropolitana" del Sahara) da un camionista libico ubriaco. Naturalmente lo fotografiamo da ogni possibile angolazione. Agli occhi dei locali dobbiamo sembrare proprio scemi.
Ancora una volta abbiamo avuto una fortuna sfacciata. Siamo arrivati proprio mentre presso uno dei pozzi adiacenti una carovana sta facendo l'ultimo rifornimento d'acqua prima di affrontare la traversata fino a Bilma. E' una carovana abbastanza grande, composta da un centinaio di cammelli, una ventina di uomini e la solita scorta alimentare per il viaggio costituita da diverse capre. Una di queste (quella da latte?) viaggia come carico di un cammello. Abbiamo tempo e ci fermiamo ad osservare come è suddiviso il lavoro: i ragazzi più giovani tirano la lunga fune che serve a issare il secchio, camminando per una trentina di metri. Gli "intermedi" riempiono le ghirbe, altri sistemano i carichi sui cammelli e quello che sembra essere il capo da' ordini perentori a tutti. Ci fermiamo un oretta ed attendiamo la partenza della carovana prima di partire a nostra volta, in direzione opposta, verso la falesia di Tiguidit.
Dopo poco la sabbia del Ténéré ci lascia ed il terreno si fa più terroso e pietroso. Viaggiamo per tutto il pomeriggio ed al tramonto, presso un rado boschetto di acacie facciamo il nostro ultimo campo.
Campo ad ovest dell'Albero del Ténéré - Falesia di Tiguidit - Agadez
04-11-2004
Questa mattina il D.G. ci lascia dormire un ora in più: cosa molto gradita.
Per arrivare alla falesia di Tiguidit dobbiamo attraversare una serie di piccoli rilievi rocciosi e la strada che percorriamo alterna tratti relativamente veloci a zone dal fondo più "lento". Giungiamo ad un piccolo villaggio dove è in fase di carico un Mercedes 6x6, uno dei tanti che attraversano il Ténéré per collegare le remote zone da cui proveniamo ad Agadez ed all'Air. Il carico è impressionante. Non so di quanti strati sia composto ma, se non si fosse visto, non si crederebbe possibile che possa arrivare a destinazione.
Verso la tarda mattinata arriviamo alla falesia. Alcuni tronchi pietrificati sono la nostra prima meta. La seconda è una parete ricoperta di graffiti rappresentanti principalmente delle giraffe. Poi, dopo la pausa spuntino all'ombra di alcune acacie, la guida ci porta sul bordo della falesia dove alcune formelle scavate nella viva roccia suggeriscono la presenza di un insediamento preistorico.
Riprendiamo la via di Agadez. Ci fermiamo in un villaggio abbastanza animato dove sventolano tutta una serie di bandierine colorate allo stesso modo. Domando a Mhamoudane che cosa significhino. Si tratta, mi spiega, di addobbi elettorali (i colori sono quelli del partito al potere) in vista della prossima visita del presidente uscente Tahia nel suo tour di propaganda per le prossime elezioni. Gli abitanti intendono così ingraziarsi il possibile vincitore nella speranza di qualche futuro aiuto economico.
Mancano poche decine di chilometri ad Agadez quando lungo la pista incontriamo un ragazzo che ci fa cenno di fermare. Avrà si e no 16 anni ed è un clandestino della Nigeria, abbandonato lungo la pista da chi avrebbe dovuto portarlo (a pagamento) fino a Dirkou. Ci racconta la sua triste epopea, volta ad arrivare in Europa e le molte peripezie passate fino a quel momento. Cerchiamo di fargli comprendere che più a nord è peggio, che ora le frontiere sono chiuse e che rischia di finire in un campo d'accoglienza in Libia, ma non riusciamo a dissuaderlo. Lo portiamo fino alle porte della città e gli lasciamo un po' di cibo, vestiti e soldi, raccomandandogli di fare attenzione e di non farsi fregare un'altra volta.
Infine eccoci. Agadez.
Asfalto, traffico, motorini che sfrecciano ci fanno una certa impressione. Non siamo più abituati. In pochi minuti siamo alla Pension Tellit, posta in faccia alla grande moschea e di fronte al famoso (e ormai fatiscente) Hotel Air. Per la prima volta l'assembramento intorno a noi è fastidioso. Ci sistemiamo nella camere mentre Mhamoudane scarica per l'ultima volta il carico ed il D.G. ed Ago vanno ad intavolare trattative per la vendita delle 3 Range Rover.
Abbiamo un paio d'ore di libertà prima della cena che sfruttiamo prima godendoci il tramonto sul famoso minareto dalla terrazza della pensione, sorseggiando delle ottime birre locali gelate, poi facendo delle lunghe docce corroboranti ed una revisione completa al nostro ormai mal ridotto vestiario. Nettati ed infiocchettati (si fa per dire) infine ci rechiamo a mangiare in un localino carino poco distante.
Agadez
05-11-2004
Giornata a libera.
Qualcuno va alla ricerca di Ghadoufuà, il cimitero dei dinosauri, altri visitano il mercato, altri ancora passano la giornata a dormire. Insomma una giornata piena, in attesa della sera e del pranzo di addio nel ristorante più chic (proprietà italiana) allestito all'interno di una ricca dimora tradizionale, molto ben conservata e restaurata, dove il pasto è allietato dalle note e dalla voce di un griot particolarmente bravo.
Domani si torna in Europa. Mannaggia!