Africa

28/12/2003

Libia del Sud Ovest 2003 - Diario [2]

Autore: Alberico Barattieri

Ghat - Akakus 

28 dicembre 2003
(Km. 290 - Asfalto, pista) 

Con il piede leggero leggero, guido sulla strada per Al Aweinat. Ottanta chilometri cercando di farmi bastare la riserva di gasolio. Quando sono ormai alle ultime gocce finalmente troviamo la città ed il suo distributore. Solita lunga coda per il rifornimento. Molti la sfruttano per lanciarsi in contrattazioni all'ultimo euro per dei bijoux touareg che alcuni ragazzi nigerini vendono.
Usciamo da Al Aweinat verso sud in una grande piana. Il terreno è disseminato di piccoli rilievi e la pista è estremamente polverosa. A mezzogiorno ci fermiamo per uno spuntino ma il gruppo è disperso. La facilità della pista ha fatto si che qualcuno si sia fatto prendere la mano andando troppo avanti e troppo veloce..
Con qualche discussione (!) il gruppo si ricompatta e riparte. La terra lascia il posto alla sabbia. Sulla nostra sinistra scorrono cordoni di dune dalle forme bellissime. Le abbandoniamo dopo un po' per andare verso ovest, in direzione dei rilievi dell'Akakus. Improvvisamente lo scenario cambia e si entra in un mondo incantato.

Picchi di roccia nera si stagliano intorno a noi e formano un vero e proprio labirinto di valli. I passaggi tra l'una e l'altra sono possibili grazie alla sabbia che si accumula permettendo di scavalcare i rilievi. Il primo posto presso cui ci fermiamo è un grande arco di roccia al centro di una piana. Nei dintorni una piccola mehareé passa silenziosa. Risaliamo in macchina, ma per poco. Ecco che entriamo in una valle laterale cieca. Al fondo erosioni verticali che creano colonne simili a stalattiti e stalagmiti. Alla loro destra si apre una grotta ed al suo interno vediamo la nostra prima pittura rupestre libica: un rinoceronte dipinto in maniera splendida. Nella stessa grotta degli affioramenti colorati di giallo, rosso e viola. Lakhtar ci mostra come, per sfregamento, si possano ottenere polveri colorate utilizzate per la creazione delle tinte.
Pochi altri chilometri ed alla base di una falesia altre meravigliose pitture rupestri occupano per una ventina di metri la parete. Scene di caccia, una di caccia alla gazzella con i cani, giraffe ed altri animali. Manca solo più un elefante. Lo incontriamo poco dopo, inciso su una roccia. E' stupefacente come l'artista sia riuscito a rendere perfettamente l'idea di movimento dell'animale.

Cala la sera e prima che il sole tramonti facciamo campo alla base di una falesia sormontata da un "dito" verticale. 

Akakus - Wadi Matendush 

29 dicembre 2003
(Km. 259 - Pista, fuori pista) 

Abbandoniamo l'Akakus percorrendo piste tra pinnacoli e rocce nere e contorte. Sotto le ruote la sabbia scorre veloce mentre ci dirigiamo ad est. Ci ritroviamo nella piana attraversata il giorno precedente e ci dirigiamo verso le dune dell'erg Talt, di fronte a noi. La pista spesso insabbiata percorre i gassi tra cordoni dalle forme sinuose. Da qui in avanti percorriamo grandi piane sabbiose, piste scorrevoli ben tracciate tra falesie scure.

Poco dopo la sosta di mezzogiorno incontriamo un gruppo di fuoristradisti e motociclisti che fanno campo tra la rada vegetazione di un piccolo wadi secco. Attraversiamo il wadi (il Nonno ci lascia una delle sue preziose 9.00) e ci portiamo sulla grande piana seguente. A destra della pista vediamo una pista d'atterraggio tracciata con dei pneumatici.
La corsa (ad alta velocità) continua. Incomincia a vedersi parecchia sabbia alla nostra destra e la costeggiamo a lungo. Sono le ultime lingue di sabbia dell'erg Murzuk. Gradualmente i punti del GPS ci portano più a nord, in direzione di wadi Matendush. Gli ultimi chilometri prima di arrivarvi sono caratterizzati da una pista sassosa e lentissima. Una vera goduria dopo una giornata di guida.

Arriviamo al piazzale nei pressi del sito dove troviamo: baretto, venditore di souvenir nigerini, altri turisti italiani e la richiesta di soldi per l'accesso all'area archeologica, con supplemento per le macchine foto e ulteriore per le telecamere. Niente da dire, servisse a proteggere efficacemente i luoghi. Le incisioni di wadi Matendush sono molto belle. Gatti mammoni (!), giraffe, struzzi, coccodrilli ed uno splendido rinoceronte. Sono incise sulle rocce nord del wadi.

In fila indiana ripartiamo alla ricerca di un luogo per fare campo. Le nostre ruote sono attratte dalla sabbia e decidiamo quindi di puntare a sud, attraversando la piana che ci separa dall'erg Murzuq. Una veloce corsa su terreno piatto. Distensivo e divertente. Alla base di una duna immensa facciamo il campo, agitato da discussioni inutili e fastidiose. Prendo il mio piatto e vado a godermi la compagnia di Lakhtar, dell'autista ed del poliziotto. Ottimo il the, ma il narghilè che Lahtar mi offre è troppo forte per i miei polmoni.

Matendush - Erg Awbari 

30 dicembre 2003
(Km. 228 - Pista, fuori pista) 

In cosa consiste un "piattone"? Esattamente nel terreno che incontriamo per decine di chilometri fin dalla nostra partenza dal campo. Puntiamo verso Maknusa per ritrovare l'asfalto, fare rifornimento e dirigerci verso la zona dei laghi nell'erg Awbari. Il piattone finisce in una zona con diverse tracce di piste, con tratti recenti ed altri meno. Tutti comunque molto polverosi. Incontriamo un cane. Ha una brutta ferita sulla coscia destra ma si comporta come se nulla fosse. Accetta coccole, acqua ed una baguette.
Raggiunto l'asfalto e fatti i rifornimenti di carburante e pane ci portiamo all'imbocco del salitone che ci porterà nell'erg Awbari. Ripido è ripido, niente da dire. Ma permette di prendere il giusto slancio e, con i pneumatici ad 1.4 bar non ci sono problemi. Dopo poco ci fermiamo per lo spuntino. Intorno a noi solo sabbia, dune e cielo.

A stomaco pieno, sotto un sole caldo e con una temperatura ottima riprendiamo. La guida diventa divertente. Si galleggia agevolmente e si guida in morbidezza. Ogni tanto qualche scavallamento un po' verticale ci permette di fare delle pause, passando uno alla volta. Il gioco dura quasi due ore.
Giungiamo ad un primo lago (secco) e poi, finalmente, circondato da una corona di palme e dune altissime ecco il lago Gabroun. Per quanto ormai "turistico" e alla sera sia il luogo di ritrovo di sciami di zanzare, resta un luogo bellissimo. Il villaggio è disabitato (gli abitanti sono stati "invitati" anni fa dal governo a trasferirsi in dei meravigliosi condomini a Sebha) ed il baretto locale ha un servizio in puro stile libico. Dopo una lunga ricerca del "barista" riusciamo a farci servire dei the. Mufta, l'autista, evita che ci chiedano cifre spropositate trattando a male parole il tenutario. Ma, come dicevo, è un luogo turistico, tanto che un gruppo di ragazzi francesi si è portato gli sci per discendere dalle dune (e probabilmente per far salire il prezzo del the).

Numerose e fiammanti Toyota passano vicino al lago e si dirigono su una duna non molto distante. Lahtar dice che si tratta di un figlio di Gheddafi con la sua scorta.
Non ci si muoverebbe da Gabroun se non fosse che stan per scendere la sera e alzarsi le zanzare. Usciamo dalla zona del lago e ci portiamo a qualche chilometro e qualche cordone di dune di distanza per fare il campo.
Fa un freddo boia.

Erg Awbari - Sebha - Shwayrif 

31 dicembre 2003
(Km. 481 - Fuori pista, asfalto) 

All'alba siamo in moto. La temperatura è fredda e la sabbia compatta. Gli ultimi scavallamenti di dune non pongono alcun problema. Mano a mano il panorama si appiattisce e ci troviamo a correre su lievi ondulazioni sabbiose ad alta velocità. Sono gli ultimi chilometri di fuoristrada del nostro viaggio e ci scateniamo schiacciando sull'acceleratore.
Siccome siamo in anticipo di un oretta sui tempi previsti, facciamo una piccola deviazione. La scusa è: secondo voi quanto dista quell'altura rocciosa alla nostra sinistra? Naturalmente per proclamare il vincitore occorre verificare la distanza. Ecco. Deviazione di 12 + 12 km. per il puro gusto di guidare. Il vincitore? Mah, chi se lo ricorda..
La sabbia si esaurisce all'ingresso in Sebha. Vi entriamo da una zona periferica in cui, a perdita d'occhio, vi sono recinti colmi di cammelli. Mai visti tanti insieme. In fila indiano percorriamo la strada che si snoda prima tra i recinti, poi attraversa una periferia poverissima che lascia gradualmente spazio a costruzioni nuove e più "ricche". Nella zona più povera si respira un'aria tesa. Viaggiamo in colonna a distanza brevissima uno dall'altro, come consigliato dalle guide. Dei poliziotti ci fanno cenno di accelerare e toglierci velocemente di torno (sapremo poi di sommosse sedate con durezza dalle forze dell'ordine).
Il traffico di Sebha non è troppo caotico ma l'interpretazione libera dei semafori e delle precedenze che anima i conducenti locali comporta la necessità di stare molto concentrati ed attenti.
Ci rechiamo negli uffici dell'agenzia locale dove ci salutano le nostre guide. Saranno sostituite da un nuovo equipaggio formato dal solito poliziotto e da un nuovo accompagnatore, elegantemente vestito. Ci resta male quando scopre che la prossima notte (capodanno) gli toccherà dormire in macchina lungo la strada per Tripoli. E lui che sperava di festeggiare..

Dopo la solita coda al distributore (per un grande produttore di benzina non c'è male) imbocchiamo l'asfalto verso Birak. L'uscita della città, come ovunque in Libia, è un enorme discarica. Qualche posto di blocco, molti chilometri, molto difficile restare svegli visto il panorama monotono. Il tramonto ci coglie mentre siamo alla ricerca di un luogo dove campeggiare nei dintorni di Shwayrif.

Il cenone è ottimo ed abbondante e il "ricostituente" che gira intorno al fuoco è molto gradito, anche dai nostri due compagni libici.

Shwayrif - Tripoli 

1 gennaio 2004
(Km. 415 - Asfalto) 

Smontiamo il nostro ultimo campo prima dell'alba. Lunghi chilometri di asfalto, rari centri abitati e posti di controllo. Poco traffico, composto per lo più da auto coreane o giapponesi e vetusti, lentissimi e fumosi camion Fiat. A Ganyat il Nonno si stacca dalla nostra colonna per raggiungere Ghadames con Vera ed Eugenio che devono recuperare la loro Nissan. L'appuntamento è per il giorno seguente a Sabrata.
Il tempo comincia a mettersi al brutto. Prima con vento forte che fa volare sabbia attraverso la strada, poi avvicinandoci alla costa volge direttamente all'umido. Scendendo dall'altopiano del Nafusa per dirigerci a Tripoli (o Tarabulus se vogliamo essere politically correct) facciamo la pausa spuntino al riparo di una costruzione moderna.
C'è chi è seriamente, ed una volta di più, preoccupato: teme la delinquenza a Tripoli. E' quindi una sorpresa per lui quando, arrivati nella capitale libica, prendiamo alloggio in un albergo di lusso in stile moderno-sovietico, in riva al mare. Sovietico è sovietico. Emana quella tristezza fredda che negli anni 80 avreste trovato in un qualunque grande albergo dell'est europeo. La vista verso il mare non è male ma il tempo inclemente e la pioggia orizzontale non invogliano a sfruttare i balconi delle camere.

Grandi docce e grandi pisolini in attesa dell'ora di pranzo che ci vede riuniti attorno al tavolo di un locale di lusso, in cui il menù è il solito minestra-pollo-cuscus-insalata, solo più pulito e caldo. Il luogo è bello. Ricavato all'interno di resti romani e mura di epoca coloniale offre un raffinato contrasto con le parti interne della medina, decisamente più trasandate.

Tripoli - Sabrata - Zarzis 

2 gennaio 2004
(Km. 285 - Asfalto) 

Squarci di azzurro nel cielo e qualche raggio di sole accompagnano il carico dei bagagli nel piazzale dell'albergo pieno di pozzanghere e spazzato dal vento. In fila indiana ci infiliamo sulla strada che porta al confine tunisino. C'è un discreto traffico. Nel casino ad un certo punto mi ritrovo da solo e senza contatto radio. Vado avanti per un pezzo con l'orecchio teso a captare qualche segnale fino a che capto Athos e via via gli altri. Ricongiunti deviamo dal percorso per andare all'appuntamento con il Nonno Vera ed Eugenio. Nel piazzale di Sabrata li troviamo che ci attendono da un'ora. Il D.G. ci concede il tempo per una visita alle rovine romane.

Per accedere all'area archeologica si paga un biglietto per entrare, uno per accedere al museo, uno per la macchina foto ed uno per la telecamera. Ma ne vale la pena. La struttura più imponente è il teatro. Con alle spalle della scena il mare è stato soggetto di un notevole restauro. Tutto intorno si snodano i diversi quartieri della città. Resti di templi, abitazioni, botteghe. Qua e là vi sono tracce di mosaici.  A volte frammenti, a volte interi pavimenti. Notevole quello dei bagni pubblici, con decori molto eleganti ed il simbolo dei calzari sulla soglia della vasca. Tutte queste aree all'aperto non hanno protezioni ne recinzioni ed è possibile calpestarli e, di conseguenza, rovinarli. Non sembra, peraltro, che siano in corso opere di consolidamento e restauro. I mosaici più belli sono all'interno del museo posto vicino all'ingresso. Interi pavimenti di più di venti metri di lunghezza e decorazioni con animali e piante di fattura pregevole.

Il vento continua a soffiare quando riprendiamo la marcia. Direzione: frontiera con la Tunisia. Dove questa volta l'attesa per l'uscita è breve. Stasera dormiremo vicino a Djerba e domani sera saremo ad Hammamet, pronti per l'imbarco sulla Cartage.


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