MSF missions

18/03/2007

Niger - Marzo 2007

Autore: Roberto La Tour

Ho viaggiato con Royal Air Maroc, due voli brevi, ma di notte. Fino a Casablanca, miracolo, mi hanno messo in business, ma poi l'aereo (ed ero in seconda) si è riempito di pellegrini di ritorno dalla Mecca, rumorosi, odorosi, ingombranti, e apparentemente ignari degli usi e costumi del viaggiare in aereo. Non sapevano leggere, e non capivano che dovevano sedersi nei posti loro attribuiti. Poi capivano ancora meno che le toilette erano occupate o che non dovevano usarle durante l'atterraggio, uno voleva urinare contro la porta.

Arrivo a Niamey alle 4 del mattino, per miracolo le formalità sono state brevi, mi sono venuti a prendere, dormo nella casa di MSF, colazione, della città vedo poco tranne che sembra sparpagliata e sabbiosa. Briefing in ufficio, cenetta in un ristorantino, poi sveglia alle 4.45 per partire alle 5 in punto! Per fortuna si trattava di un pulmino e ho potuto stendermi. Dodici ore di strada, un paesaggio secco e polveroso, villaggi di terra molto caratteristici, una specie di foschia di polvere che copriva il sole, tuareg in cammello, enormi camion pronti a rovesciarsi… e finalmente eccoci a Zinder. Pranzo la sera al "Centre Culturel Franco-Nigerien), un vago bar ristorantino come gli altri, carne impanata e fagiolini, ma la birra era fresca. E poi che notte ragazzi!!! Finalmente una bella ronfata, e per fortuna non fa affatto caldo. Programma domenicale: mercato, villaggio artigianale, e internet café. Il mercato è molto animato, molto "denso", ed estremamente interessante. Tra venditori di pomodori secchi e di carabattole, ci sono delle piccole fucine dove fanno pentole e ricuperatori meccanici che puliscono, riparano, lucidano e vendono parti di automobili e camion che sarebbero date per defunte altrove. Meno interessante ma con begli oggetti il villaggio artigianale, costruito dal governo con l'aiuto di qualche ONG dove alcuni argentieri, sarti e pellai fabbricano oggetti per i turisti che a Zinder proprio non esistono (ma ci sono i volontari di varie associazioni).

Il lunedì eccomi al lavoro. Su un immenso viale che non porta da nessuna parte costruito in occasione di una visita presidenziale, sorge il nostro CRENI (Centro di Riabilitazione Nutrizionale Intensiva), dove le mamme portano i loro bambini denutriti. Molti letti sono vuoti, perché non è la stagione del "picco" di malnutrizione, che si situa subito dopo la stagione delle piogge, quando è troppo presto per raccogliere il miglio, mentre quello della stagione precedente è finito e c'è una grossa aggravante, la malaria. Quest'anno, inoltre, il problema è stato ulteriormente complicato dal calendario del Ramadan, capitato proprio durante quel periodo, e che forse non riduce la capacità di mamme un po' macilente ad allattare (in principio chi allatta è esente), ma rende le altre improprie a donare il sangue, problema di cui vi parlerò tra poco.

Si, perché la trasfusione di sangue è stata il motivo del mio viaggio. Ormai qui in ufficio sono diventato il "signor trasfusioni", e tutti i guai, le difficoltà, le complicazioni legate alla trasfusione finiscono sulla mia scrivania, nel mio telefono, nella mia mail. Ovvio che un biologo debba occuparsi della problematica dei test, sia quelli della compatibilità (gruppo sanguineo) che quelli sierologici (HIV, epatitti, sifilide…), ma tutto l'aspetto etico, della scelta dei donatori, quello della gestione rifiuti, cioè le sacche inutilizzate, mi capitano tra capo e collo. E' già un miracolo che l'a decisione medica di effettuare una trasfusione non sia di mia competenza!

Ma quando sono arrivato al CRENI, non c'erano richieste di trasfusione. Allora ho potuto fare il giro della struttura, e farmi un'idea di come viene gestito un programma nutrizionale. In una specie di grande cortile, sono montate varie tende, sotto le quali ci sono i "reparti", cioè lunghe file di letti dove l bambini sono ricoverati, e dove le mamme possono dormire. Sempre sotto le tende ci sono le sale di consultazione, l'ammissione dei "pazienti", il laboratorio. Alcuni bambini sono proprio in un cattivo stato, pelle e ossa, in tal caso la patologia viene chiamata "marasma", oppure gonfi, in tal caso si parla di "kwachorkor". Ho parlato di pazienti e di patologia perché per noi la malnutrizione non è un problema economico e sociale, ma una patologia da curare. E la curiamo! Con dei latti in polvere speciali per i bambini più piccoli, con delle cure per le malattie associate, con del "plumpy-nut" per quelli già svezzati, con degli interventi presso le mamme per migliorarne l'allattamento. Il plumpy-nut di cui ho appena parlato è una pasta di arachidi arricchita di vari nutrienti essenziali, fornita in bustine monodose, quindi molto igienica e estremamente facile da amministrare.

Comunque per due giorni non ci sono state richieste di trasfusione, quindi ho potuto con calma controllare e mettere a punto i pochi esami effettuati nel laboratorio, e concentrarmi sui due problemi che turbano tutti quelli che si occupano di trasfusione sul terreno: come gestire dal punto di vista etico gli esami che si fanno ai donatori e come eliminare il sangue inutilizzato.

Una piccola premessa per spiegare come funziona la trasfusione sul terreno, nella speranza che ciò che racconto dopo sia più chiaro (vedere anche i capitoli sulla Liberia). Quando un paziente ha bisogno di sangue, cerchiamo un donatore, spesso gli unici disponibili sono la famiglia stretta, gli facciamo i vari test e, se ha un tasso di emoglobina sufficiente (cioè se non è anemico), è di un gruppo sanguineo compatibile con il paziente, e se è negativo ai test per l'HIV, l'Epatite B, l'Epatite C e la Sifilide, gli si preleva la sacca e si procede immediatamente alla trasfusione. In alcuni posti abbiamo una banca del sangue, vale a dire un frigorifero in cui conservare le sacche, la cui temperatura è controllatissima. Ciò ci permette, se troviamo un donatore valido su tutti i criteri tranne il gruppo di provare a convincerlo di donare il sangue lo stesso, e lo conserviamo per un altro paziente. Un buon argomento per convincerlo è che il suo sangue serve a "sostituire" quello usato per salvare il membro della sua famiglia, proveniente da un altro donatore.

Il problema etico è il seguente: normalmente i donatori sono testati prima di prelevargli una sacca di sangue, e se per qualsiasi motivo il sangue non può essere trasfuso, gli si dice semplicemente "il tuo sangue non è compatibile", e si cerca qualcun altro. Certamente non è la soluzione migliore, ma è la la meno peggio. Ora se abbiamo una banca del sangue, non abbiamo la scusa del gruppo sanguigno non corrispondente al ricevitore, perché possiamo stoccarlo fino a tre settimane nel caso si presenti un paziente bisognoso di trasfusione e del buon gruppo. In alcuni posti, per ovviare a tale problema, la sacca viene prelevata prima, e i test sierologici vengono effettuati dopo, quando il donatore se ne è tornato a casa.  Ma noi ci opponiamo fermamente a una simile pratica, perché i donatori sono quasi tutti mamme, spesso un po' macilente, e proprio al limite dei criteri medici per essere autorizzati a donare del sangue. In simili condizioni, non è assolutamente etico prendergli del sangue per poi buttarlo via! Ci troviamo quindi in una situazione in cui comunque abbiamo un problema etico: o preleviamo sangue inutilmente, o rischiamo di insospettire il donatore se non vogliamo il suo sangue.

Il problema dell'informazione ai donatori si può riassumere così: sono venuti per donare del sangue, non per farsi testare. Quindi non gli si dice niente. Ovviamente non è così semplice. Nei programmi dove abbiamo un progetto AIDS, nel''informazione pre-donazione gli si spiega la possibilità di farsi testare, e se noi non lo facciamo ma se c'è un'altra organizzazione che lo fa, com'è il caso a Zinder, li informiamo di questo. Ma il tutto è fortemente complicato dal fatto, come potete ben immaginare, che le mamme, che costituiscono il grosso dei nostri donatori, sono completamente analfabete. Fortunatamente da quelle parti la prevalenza del virus HIV è molto bassa, ma c'è un problema di Epatite C, per la quale non abbiamo assolutamente nulla da proporre. Eppoi se rifiutiamo un donatore per un innocente problema di incompatibilità, rischia di agitarsi anche se gli giuriamo che nel suo sangue non c'è niente. Capite perché c'è pressione da parte dei team di prelevare la sacca prima di effettuare i test?

L'altro problema è quello dell'eliminazione del sangue inutilizzato: una sacca finita, vuota, parte all'inceneritore. Ma una sacca piena, o utilizzata a metà, visto che il sangue è quasi tutto acqua, ce lo spegne, l'inceneritore! Infatti sotto questo nome roboante si nasconde un bidone rugginoso con un tubo per il fumo dove bruciamo con del kerosene i rifiuti ospedalieri. I logisti che si occupano della gestione rifiuti sono, loro, completamente favorevoli alla sacca prelevata dopo i test, così il numero di sacche da distruggere è di molto inferiore. Le altre soluzioni sono di svuotare la sacca nella fossa a rifiuti organici, poi di portarla all'inceneritore. Ma ciò significa andare a passeggio con la sacca e svuotarla là, il che è manipolativo e comporta dei rischi. Non si può buttare la sacca tale e quale nella fossa, perché la plastica non si degrada e presto la fossa sarebbe piena. Io sono a favore di vuotarla nel lavandino del laboratorio attraverso il tubo infilato nello scolo, il che non comporta nessun rischio se lo scarico dà in un pozzo a perdita nel terreno, ma gli altri sono contrari perché significa comunque manipolare del sangue. Ma se il donatore è testato prima, questo sangue comporta ben pochi rischi!

Dopo tutte queste riflessioni, parto il mercoledì mattina per Magaria, una cittadina un centinaio di chilometri più a sud. E un posto abbastanza bello, sabbioso, caldo e secco, con molti carretti trainati da buoi neri dalle immense corna. Lì il CRENI è più animato, e c'è più gente, e ci sono più bambini ridotti in uno stato pietoso. Ci sono i casi più vari: un neonato era completamente pelle e ossa perché la madre aveva il capezzolo piatto, e il bimbo non riusciva a succhiare. La nostra pediatra americana ha fabbricato, intagliando il fondo di una bottiglia di acqua minerale, una specie di spremicapezzolo per risolvere il problema di quella donna. La quale non era molto motivata, perché era il suo primogenito e secondo la tradizione locale va alla madre della mamma (o alla suocera, non ho capito bene).

Si fa sera, stavo per tornare a casa, quando c'è una richiesta urgente di trasfusione. Il bambino è A Rh-, e la madre B Rh-. Parte uno dello staff, un "sensibilizzatore", e torna con ben nove altre mamme! Cosa ha mai potuto dirgli? Be', non una delle mamme è Rh-. Allora ho donato io, che sono 0-, e ho potuto verificare che tutti i test erano stati effettuati correttamente. Poi finalmente a casa, dove birra fresca e un ottimo agnello arrosto ci attendeva.

Il mattino dopo visita dell'ospedale locale: le condizioni sono misere, il laboratorio è un disastro, e ho dato un severo divieto di utilizzare la loro banca del sangue. Nei reparti, sporchi, un giovane ha la meningite, un altro il tetano…

Poi ritorno a Zinder. Sto visitando la farmacia, dall'altra parte della città, quando c'è una chiamata urgente per me: urgente necessità di trasfusione al CRENI. Ci vado e stanno già cercando un donatore. La mamma è anemica, non può donare. Ne troviamo un'altra, è troppo magra, e ha l'aria in cattiva salute. Facciamo il giro di tutta la struttura, e abbiamo molta difficoltà a trovarne una che accetti! Io ho un bel mostrare il cerotto al braccio e spiegare che se l'ho fatto io, lo possono fare pure loro… Finalmente ne troviamo una che è d'accordo. Il suo peso è sufficiente, non è anemica, è in buona salute, il primo test HIV è negativo, il secondo pure (ne facciamo sempre due diversi per sicurezza), pure negativo è il test dell'Epatite B, come quello della Sifilide. Facciamo quello dell'Epatite C, un po' più complicato degli altri, sembra negativo pure lui, ma guardando bene c'è un'ombra… Aaaarrgh!! No! E mo' che facciamo? C'è probabilmente solo i 10% di possibilità che quella donna sia infetta con l'Epatite C, ma non possiamo prendere il rischio. Io ero stravolto, non ne potevo più, ma abbiamo risolto il problema con una sacca della banca dell'ospedale, che al contrario di Magaria è perfettamente funzionante e affidabile. Ma siamo stati fortunati, potevano non averne, hanno pochi donatori pure loro e con la nostra piccola banca funzionante erano già venuti da noi a chiederci se avevamo delle sacche. Comunque sia, nessuno venga a dirmi che occuparsi di trasfusione è riposante!

Il sabato mattina me ne vado. Per strada mi fermo a Maradi, dove un'altra sezione di MSF ha un CRENI, per vedere cosa fanno. Loro non si pongono problemi: hanno una banca del sangue perfettamente organizzata, prelevano le sacche prima dei test (ma là, al contrario che da noi, ci sono anche un po' di padri, donatori più adatti), e quelle non utilizzabili o scadute le buttano in una fossa profonda 5 metri, poi bucano le sacche con una lunga asta, e ogni tanto vi gettano un po' di kerosene e vi danno fuoco. Per me è un sistema poco pratico e macchinoso.

Mi fermo a Birni'n Konni a dormire. Quanta miseria per la strada! Ciechi, mutilati… Compero una specie di coperta colorata, e il giorno dopo arrivo a Niamey, dove mi portano a bere l'aperitivo sulla terrazza di un bell'albergo, con una stupenda vista sul fiume e un tramonto grigiastro a causa dell'onnipresente foschia di polvere che ha velato il sole durante tutto il mio soggiorno, mi ha infiammato le vie respiratorie, e copriva di uno strato di polvere mobili, oggetti, piante.

A mezzanotte mi portano in aeroporto, il volo parte alle tre, niente pellegrini questa volta, ma un sedile con lo schienale che non si abbassa perché vicino all'uscita di sicurezza. Dopo uno scalo a Ouagadougou e un cambio a Casablanca, eccomi finalmente a Ginevra più morto che vivo ma soddisfatto della visita.


Guarda le immagini della missione su Flickr