Africa

10/02/2006

Banjul - Bamako - Agadez. Diario (3)

Autore: Alberico Barattieri

Toumbouctu - Mano di Fatima

13 febbraio 2006

Il venticello di ieri sera si è placato. Qualche gallo decide di cantare anzitempo, fatto sta che alle 8 siamo in piedi e pronti a metterci alla ricerca di un meccanico per la nostra marmitta e fare un paio d saldature al telaio dell'80 del Nonno: evidentemente anche lui non ha passato indenne la tirata sulla tole di ieri.
Facciamo un giro verso il centro ma non scorgiamo alcuna officina. Allora passiamo al piano B e chiediamo informazioni ad un ragazzo che in men che non si dica ci porta dal meccanico. Un cortile sabbioso, una stuoia tenuta su da pali in legno, qualche pezzo di motore abbandonato in giro e una lunga attesa del mecanicien condiscono la mattinata.
Anche il lavoro di saldatura non è breve e ne approfitto per andare a bere qualcosa, sempre scortato dalla nostra guida, in una delle botteghe della piazzetta adiacente. Mentre sorseggiamo la nostra Pepsi chiacchierando del più e del meno mi accorgo che dall'altro lato della piazza c'è una scuola ed essendo ormai mezzogiorno è prossima l'uscita degli studenti. Visto che ho portato dietro la telecamera esco dal baretto e mi metto a filmare i ragazzi che sciamano facendo un discreto casino.

Ma vengo richiamato all'ordine: le macchine sono pronte e quindi ci mettiamo in marcia verso il centro di Toumbouctu. Cerchiamo qualche vestigia del glorioso passato ma a parte un paio di belle moschee tra le quali Djinguereber e Sankoré resta ben poco dell'antico splendore. Dopo la fotografia di rito davanti al cartello che indica che siamo nella città dei 333 santi ci accomiatiamo dalla guida e dopo una dozzina di chilometri arriviamo a Korioumè. Questa volta di giorno, il che ci consente di guardarci un po' in giro, tanto più che di bac non ce ne sono. Ci mettiamo sulla spiaggetta che serve da scivolo per imbarcarsi e ci prepariamo uno spuntino con tanto di caffè cosa che ci consente di attendere con più serenità l'arrivo, un paio d'ore dopo, del bac. Nessun problema questa volta. Siamo i soli a dover partire. La cosa ha il suo risvolto negativo: o aspettiamo altre due auto per completare il carico oppure paghiamo anche per lo spazio vuoto. Non abbiamo molta scelta e alla fine si parte.

L'attraversamento del Niger è veramente piacevole. Fa caldo e si avanza lentamente tra lingue di sabbia affioranti rendendosi conto della perizia del pilota e del poco pescaggio che deve avere l'imbarcazione, nonostante il suo aspetto massiccio.
Costeggiamo la riva nord dove si susseguono piccoli villaggi in cui ferve la vita. Animali, donne che lavano i panni, pinasse che scaricano e caricano merci e passeggeri. Poi è sabbia, chiarissima, piccole dune gialle, punteggiate di acacie che vanno a a morire nel verde del grande fiume.

Quando abbandoniamo la sponda nord ecco che la parte poetica finisce e che tocca tornare alla realtà. Bisogna scendere dal bac senza restare a mollo nel bagnasciuga e poi infilarci nella polvere della pista. Dopo pochi chilometri siamo di nuovo nella tole. E dopo qualche chilometro ci fermiamo perché il 61 comincia ad arrivare un po' troppo frequentemente a fondo corsa con le sospensioni posteriori. Dopo un rapido controllo constatiamo che diversi fogli di balestra sono rotti e quindi decidiamo di alleggerire al massimo il mezzo. Traslochiamo un po' di carico ed anch'io abbandono Marco salendo in auto con il Nonno.

In capo a qualche ora siamo finalmente a Douenza. Ci fermiamo presso un meccanico per vedere cosa si può fare per le balestre. Il proprietario molto gentilmente si mette a nostra disposizione ma pur rivelandosi un buon padrone di casa approvvigionandoci di carne alla brace e bibite fresche, ha qualche difficoltà in più rispetto alle balestre. Non voglio raccontarvi il piccolo circo che si sviluppa intorno a noi da quel momento, ma una cosa degna di nota succede: una volta smontate le balestre occorreva sbullonare il "pacco" costituito dai diversi fogli. Solo che dadi e bulloni erano completamente bloccati dalla ruggine, insvitabili anche per i forzuti assistenti del meccanico. Quest'ultimo mi si avvicina, mi chiede di prestargli la lattina di coca che ho in mano e ne abusa abluzionandone generosamente i bulloni bloccati. Passano due minuti di orologio e voilà, meglio del miglior Svitol. Ecco una leggenda metropolitana che non è leggenda ma realtà. In breve, dopo tre ore di andirivieni dei vari assistenti stiamo per ripartire con un lavoro rabberciato per metà quando ci accorgiamo che sul 61 non funzionano più le luci. Andiamo bene! E' buio e ci aspetta una tirata notturna fino all'alba per raggiungere Gao e recuperare il tempo speso per l'andata e ritorno a Tombouctu. Marco si infila nel cofano e nel giro di una mezz'oretta riesce a far funzionare le luci di posizione.

Partiamo. Tocca a me guidare e seguo il Nonno e Marco ad una ventina di metri di distanza. L'asfalto è pieno di buchi di dimensioni diverse. Capita di stare tranquilli per un chilometro e poi tocca fare lo slalom. Al buio è uno sport parecchio complicato. Riesco a percepire qualcosa dai movimenti della macchina davanti a me ma le buche le vedo quando sono ormai a pochi metri e quindi sono costretto ad un andatura non delle più veloci.

Passiamo alcuni piccoli paesini semi addormentati, qualche posto di blocco e poco più. Intorno a noi dovrebbero esserci delle falesie molto belle ma non si riescono a percepire. Solo verso le due, quando un minimo di luna illumina lo scenario ci fermiamo per un caffè e per (intra) vedere le dita di Fatima. Marco, che evidentemente nelle ore precedenti ci ha rimuginato su, si infila nuovamente nel cofano e fa funzionare anche i fari medi.
Ora tocca a lui guidare perché il caffè a me non vuol proprio fare effetto. Salgo con il Nonno, mi accoccolo sul sedile del passeggero e ronfo alla grande.

Mano di Fatima - Gao - Campo al confine

14 febbraio 2006

Silenzio. Siamo fermi. Riapro gli occhi e constato che non ero il solo a crollare dal sonno. Scendo dalla macchina e faccio due passi. Fa abbastanza freschetto. Dopo dieci minuti torno alle auto dove Marco ed il Nonno si sono nel frattempo svegliati. Siamo ad un centinaio di chilometri da Gao e ci rimettiamo in marcia con il sole che sorge di fronte a noi. Mano a mano che ci riavviciniamo al fiume si cominciano a vedere delle abitazioni e degli animali.

Arriviamo al posto di blocco posto a qualche centinaio di metri dall'imbarco per il bac che il sole comincia a scaldare. I militari sono poco socievoli e cercano di trovare qualcosa da farsi regalare. Ce la caviamo con un pacchetto di aspirina e proseguiamo verso la spiaggia. Ci fermiamo in ordinata coda dietro un camion e provvediamo a fare un po' di manutenzione. Intorno a noi piccole tettoie riparano bancarelle dove si vende di tutto. Il fiume qui è imponente. Scorgo sull'altra sponda il bac che sta salpando e sulla destra i piloni del ponte che da qui a qualche anno una volta completato lo manderà in pensione. La fine di un epoca. Piccole pinasse stracariche di passeggeri attraversano il fiume. Qualche palmipede sguazza sulla riva.

Arriva il bac. Ordinatamente (!) auto, camion, motocicli, biciclette, uomini ed animali salgono a bordo. Il capitano decide che in quanto bianchi dobbiamo pagare di più del dovuto con tono molto poco gentile. Augurandogli una prossima inaugurazione del ponte con annesso affondamento della sua carretta, pago e mi godo la traversata.

Sbarcati ci dirigiamo verso la città. Gao non ha fama di tranquillità, soprattutto in questi ultimi tempi ma, forse perché non entriamo nel cuore dell'abitato, non ce ne accorgiamo. Cerchiamo un gommista (sta diventando una ossessione) e dopo averlo trovato, sotto un sole implacabile, aspettiamo una prima mezz'ora per parlare con il titolare (!) dell'officina (!!), poi una seconda mezz'ora perché uno dei suoi giannizzeri torni con un pneumatico sbagliato, un'altra per un ulteriore ricerca... insomma, perdiamo tutta la mattinata. Riempiamo i tempi morti facendo la spesa, bevendo una coca bella fredda,  sudandola copiosamente non appena bevuta, interloquendo con i rari curiosi e questuanti che compaiono nel polveroso boulevard.
Quando il sole è bello a picco ripartiamo alla ricerca dell'albergo dove ci attende Christine. E' pronta e per decisione del duo Nonno-Marco sale con me sul 61. Proprio quel che temevo: dover intavolare una conversazione con il mio ridicolo inglese. Che dopo una prima oretta di rodaggio da pessimo diventa simil-comprensibile, quando manca un termine, provo con il francese. Uno slang tutto nostro che ci permette di comprenderci senza troppa fatica.

Dunque cosa fa Madame Tam in giro sola soletta per l'Africa occidentale? Turismo, semplice turismo. Mi viene da ridere pensando quante ragazze europee avrebbero il coraggio di girare tranquille e serafiche, da sole in questi luoghi. Ha davanti a se ancora una ventina di giorni prima di rientrare in Benin, passando per la Nigeria e da li tornare negli USA. Ma è solo una tappa perché pur essendo di nazionalità statunitense lavora in Cina in un programma ambientale.
Ma sto cincischiando ammaliato dagli sguardi orientali.

Dopo il controllo dei passaporti all'uscita della città ci troviamo su una pista che costeggia il Niger che scorre maestoso sulla nostra destra. Pista mediamente lenta e polverosa. Foriamo. Un 61 di locali si ferma a darci una mano e in breve ripartiamo. Attraversiamo un paio di villaggi, uno abbastanza grosso nel quale ci fermiamo per uno spuntino all'ombra di grandi acacie. Nessuno ci disturba. Chissà a cosa è dovuta questa piacevole indifferenza, così rara altrove in Africa. Intanto che il Nonno mette l'ennesima toppa alla sua gomma a brandelli (perché a Gao alla fine non si è trovata una gomma della misura giusta) scopriamo un piccolo negozio ben fornito di scatolame, biscotti ed un fracco di cose che uno non si aspetterebbe. Ripartiamo. La pista continua a seguire il corso del fiume a distanze variabili ma mai troppo lontano.

Alla fine del pomeriggio arriviamo a Labbezanga paese di confine. Non abbiamo molta acqua e cerchiamo nei negozietti muniti di frigo ma a parte l'acqua dei pozzi non c'è nulla. Ci stoppiamo all'altezza della sbarra davanti al posto di controllo maliano. Militari tutto sommato affabili, specialmente nel momento in cui Christine sfodera il suo passaporto americano. Il Nonno (come sempre prevenuto verso gli yankee) teme guai, invece la combinazione cina-america funziona, probabilmente per la lunga tradizione nei rapporti con i cinesi ed i recenti accordi antiterrorismo con gli USA. In marcia. In teoria siamo in territorio nigerino ma il controllo e l'ingresso vero e proprio li faremo domani a Ayorou. Per il momento l'urgenza è quella di trovare un posto abbastanza lontano dal paese e dalla pista dove piantare discretamente le nostre tende. Abbiamo notizia che la zona non sia il massimo in quanto a sicurezza e non ci teniamo a fare brutti incontri.

Mi infilo nel letto asciutto e sabbioso di un affluente per raggiungere una zona della riva del Niger dove fare campo e dopo qualche centinaio di metri mi insabbio. Dopo alcune esclamazioni molto prosaiche, grazie al Nonno ne veniamo fuori e finalmente, facciamo campo. Il sole è ormai tramontato e velocemente montiamo le quattro tendine singole mentre già cuociono i fusilli e ronzano stormi di zanzare che ci fanno coprire e cospargere per bene di Autan.

Ma com'è rumorosa questa parte dell'Africa, di notte!

Campo al confine - Birni 'N Konni

15 febbraio 2006

Ci svegliamo all'alba. Il cielo è grigio, probabilmente di umidità ed intorno a noi si sono materializzati dei bambini con cani che, a debita distanza, osservano il nostro risveglio. Non parlano una parola di francese e quindi ci limitiamo a gesticolare vicendevolmente per raccontarci chi siamo. La colazione è veloce, un po' della nostra scorta di viveri passa di mano e quindi montiamo in macchina e ripartiamo verso sud est, seguendo sempre il fiume.

Al villaggio seguente ecco la dogana di ingresso. C'è un discreto casino ma ormai non ci perturba più di tanto e dopo i soliti tira e molla siamo di nuovo in viaggio.
Continuiamo la pista, i villaggi si susseguono ed il caldo comincia ad essere asfissiante al punto che il Nonno ordina uno stop ed andiamo a rinfrescarci nel fiume. Un paio di locali ci ammoniscono contro il pericolo ippopotami, cosa che è comprensibile vista la forza e la bizzarria dell'animale, ma non dicono nulla sui coccodrilli che pure potrebbero esserci. In ogni caso, stiamo a mezzo metro dalla riva, pronti a balzare indietro. Dopo una mezz'oretta siamo nuovamente in viaggio, cercando di viaggiare spediti, tento più che ad un certo punto appare anche l'asfalto cosa che fa aumentare la media.

Fame. E' ora di fare una pausa e, visto che ormai la zona è abbastanza abitata cominciamo a cercare un qualche cosa che abbia la parvenza di un luogo di ristoro. Scorgiamo del fumo, rallentiamo e, si, si tratta proprio di cucina. Due grandi pezzi di lamiera con al di sopra dei pezzi di carne indefinita che cuociono. Ci fermiamo e veniamo accolti molto cortesemente. Ci fanno entrare in un'ala della baracca che funge da ristorante e ci accomodiamo ad un tavolino. Intorno a noi altri avventori locali. In attesa che la carne arrivi cominciamo con delle bibite non esattamente ottime, che perdoniamo poco dopo quando arriva il pasto, servito su pezzi di giornale. Voi direte: "che schifo!". Invece no, per niente. La carne è ottima, si scioglie in bocca come raramente mi è capitato. Sarà che ormai siamo a fine viaggio e quindi le nostre fisime da occidentali sono attutite, sarà la fame, sarà quel che volete, ma ne ho un ricordo come uno dei migliori pranzi fatti in terra d'Africa. Ci avviciniamo a Niamey che attraversiamo senza fermarci, continuando verso est sulla strada nazionale. A parte il traffico, poco da segnalare, a parte il Nonno che comincia a lamentare stanchezza. Poi febbre. Vuoi vedere che il suo Malarone non ha funzionato?

Proseguiamo fino al tramonto quando giungiamo a Birni 'N Konni. Brutto posto. Siamo praticamente al confine con la Nigeria e, a giudicare dagli sguardi che ci lanciano i rari locali, non siamo i benvenuti, ragion per cui cerchiamo e troviamo il locale camping, circondato da mura. Vuoto. Nessuno. Giusto il guardiano che dopo varie insistenze ci permette di entrare e più tardi di aprire il frigo per darci qualche bibita fresca. L'atmosfera è abbastanza cupa, cosa a cui contribuisce una coltre fumosa dovuta al solito sistema di bruciare l'immondizia. Quindi dopo un pasto frugale e dopo aver messo a nanna il Nonno che, in effetti ha un bel febbrone, ci ritiriamo nelle nostre tende.

Birni 'N Konni - Agadez

16 febbraio 2006

All'alba siamo in piedi. La puzza dei fuochi notturni ormai permea tende, sacchi a pelo e noi stessi. Uno schifo. Un po' come l'aspetto del Nonno che ha passato una notte con la febbre in crescita. Non se ne parla che si metta alla guida. Sull'80 sale Marco ed il Nonno si distende sul sedile a fianco. Paghiamo il nostro sontuoso alloggio e ci mettiamo in strada. A quest'ora poca gente in giro, per cui usciamo velocemente dalla città e ci dirigiamo verso nord alla volta di Tahua.

Durante il percorso vediamo numerosi specchi d'acqua che danno un tono meno arido al territorio. in effetti tutta la zona fin oltre Tahua è popolata da pastori e grandi mandrie di bovini. Arrivati in città, facciamo l'ultimo pieno e ci immettiamo sulla strada che porta ad Agadez. Progressivamente il terreno si inaridisce e la strada diventa un percorso di guerra. E' si asfaltata, ma i buchi sono tanti e spesso profondi al punto che ad un centinaio di chilometri dalla meta ci stufiamo, scendiamo dalla massicciata sul lato destro e ci infiliamo sulla pista che costeggia la statale. Alla fine si viaggia meglio e più lisci. Intanto il Nonno sta sempre peggio il che ci spinge a correre per arrivare ad Agadez e portarlo al dispensario per verificare se si tratta di malaria. Così è.

Quindi, accomodatici al Hotel Tidene, il Nonno usufruisce del medicinale datogli da Peter che, in effetti, funziona benissimo tanto che una settimana dopo la malaria è solo un ricordo. Intanto viene a trovarci Mamoudhane, la nostra guida nigerina, che è interessata all'80 del Nonno. Ci sarà utile per andare a vidimare i nostri biglietti per il volo su Parigi cosa che, essendo in viaggio, non abbiamo potuto fare per tempo. Alla fine tutto si risolve ed in serata andiamo a casa di Mamoudhane a bere the come non ci fosse un domani.

Agadez - Parigi

17 febbraio 2006

La mattina passa tra il completamento dei bagagli e la coda per entrare nella sala di imbarco per il volo su Parigi, con controlli estremamente lunghi ma, alla fine, sommari. Diciamo che i doganieri nascosti da grandi tende, perquisiscono i bagagli fidandosi di quello che gli dite. Ma prima di arrivare all'aeroporto facciamo un giro in città con Mamoudhane che ci tiene alla larga dalle moschee, dove in effetti si vedono grandi assembramenti di persone urlanti cose a prima vista poco amichevoli. Scopriremo poi che la sera precedente il nostro caro ministro Calderoli si era esibito in TV con una maglietta "offensiva" nei confronti dei musulmani. E siccome le voci corrono veloci, ecco una bella sollevazione dei più integralisti. Tempi duri per i nasrani* padani.

* Nasrani è il termine con cui vengono solitamente indicati gli infedeli


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