Africa

08/02/2006

Banjul - Bamako - Agadez. Diario (2)

Autore: Alberico Barattieri

Bamako - Campo ad ovest di Sarro

10 febbraio 2006

La mattinata si svolge tra il carico dei bagagli, una lauta colazione con scambio di indirizzi e trucchi per l'utilizzo dei nostri congegni elettronici (iPod, macchine foto, gps..). In tarda mattinata mettiamo finalmente in moto i nostri bolidi e ci immettiamo nel caos e nello smog della capitale. Imbocchiamo uno dei grandi ponti che attraversano il Niger e dopo un rifornimento di carburante e pane puntiamo in direzione di Segou.

Strada asfaltata con un certo traffico ed attraversamento di numerosi paesini con gli infidi rallentatori. Abbiamo fame ed arrischiamo uno spuntino in un ristorantino a bordo strada. Non facciamo tempo a parcheggiare che compare un.. italiano. E' un imprenditore che da anni installa antenne di trasmissione in molti paesi dell'Africa occidentale. Socializziamo  addentando una carne non proprio ottima e la annaffiamo con una coca.

Giorgio Lolli da più di trent'anni in Africa è titolare della ditta Solaire con sede a Lomè in Togo che si occupa di installazioni di stazioni radio. Le sue realizzazioni (più di 500) coprono diversi paesi dell'Africa occidentale. Un uomo veramente fuori dalla norma ed entusiasta del suo non facile lavoro che affronta con spirito a metà tra l'imprenditore ed il missionario (qui un articolo su Giorgio Lolli). Un peccato dover proseguire. Ci sarebbero da passare ore, giorni, in sua compagnia.

Salgo per un tratto sulla macchina del Nonno e mi metto alla guida. Passare dal 61 all'80 è un vero shock. L'80 del Nonno è decisamente inguidabile. Sotto i 1500 giri va a scatti e per partire obbliga a sfrizionare generosamente, in più tira tutto a sinistra e costringe ad una guida attenta.

Arriviamo così a Segou dove facciamo un minimo di spesa per poi proseguire verso est.
A pochi chilometri dall'abitato imbocchiamo una pista rossa sulla destra in direzione di Sarro - Djenné. Il cielo è coperto e la luce non è favorevole alle fotografie. Un vero peccato perché ogni villaggio che attraversiamo è dotato di una o più moschee in banco. Tutte simili ma tutte diverse, con dimensioni variabili. La gente è sorridente, i bambini gioiosi e curiosi. La vegetazione è sporadica, anche i baobab si rarefanno mano a mano che avanziamo. La maggioranza dei terreni mostra segni di aratura, segno che le terre, nella stagione favorevole dopo le piogge, sono estensivamente coltivate. Quando comincia a calare il buio usciamo dalla pista e facciamo campo. Fa caldo e vola qualche zanzara.

Campo ad ovest di Sarro - Djenné - Mopti

11 febbraio 2006

Rientriamo sulla pista e ricominciamo la marcia di avvicinamento a Djenné. Ancora villaggi con moschea e pista scorrevole. Anche troppo. Il Nonno rischia grosso all'ingresso in un villaggio, quando gli esplode un pneumatico in curva. Per sua fortuna è quello interno e la sua corsa si ferma sul bordo della strada, contromano. Se fosse esploso l'altro lo avremmo recuperato giù dal terrapieno. Naturalmente questo evento è un diversivo per i bambini del villaggio, che ci circondano commentando le nostre operazioni di depannage. Piano piano comincia ad intuirsi il delta interno. Ogni tanto attraversiamo dei ponti su canali semiasciutti, costellati di piroghe in secca e la pista diviene un tracciato che corre su un terrapieno, sopraelevato rispetto al terreno circostante. Ciò si accentua quando siamo ormai in vista di Djenné.

Entriamo in città attraversando vicoli stretti, tra case costruite in banco. Alcune di esse sono molto raffinate nella forma e nella decorazione a bassorilievo delle facciate. Filmo e guido, e la cosa è un po' complicata. Improvvisamente si apre una piazza ed appare la grande moschea. A quest'ora non c'è molta gente in giro. A parte i soliti ragazzotti che cercano di vendere qualcosa, solo dei radi passanti: qualche bambino, un carretto tirato da un asino, coppie di donne in vestiti multicolori. Condizioni favorevoli per scattare qualche immagine. Protetta dall'UNESCO la costruzione in banco è spettacolare per forma e dimensioni. L'accesso, come indica chiaramente un cartello a fianco della porta di ingresso, è strettamente vietato ai non musulmani. Bevute un paio di coke all'ombra degli alberi che circondano la piazza riprendiamo la marcia dirigendoci verso il bac. Una piccola chiatta che permette di attraversare il Bani e portarci verso la statale che ci condurrà a Mopti. Arriviamo mentre sta partendo, saliamo letteralmente al volo ed in cinque minuti siamo sull'altra riva. Tra un mese o due l'acqua del fiume sarà così bassa che il bac interromperà il servizio e si attraverserà guadando.

Tornati sull'asfalto ci portiamo a Sevarè, importante snodo stradale e passaggio obbligato per Mopti. Ci fermiamo al ristorante Makan Te, posto in uno splendido e ben curato giardino. Ottimi spiedini e frites tra il cinguettare degli uccelli e lo sguardo fisso di lucertole policrome. Dopo questo primo piacere, l'altro. L'albergo che ci aspetta a Mopti. Ma prima dobbiamo cercare dei pneumatici sani per il Nonno. Dopo lunghe discussioni sotto il sole che cuoce, restiamo intesi che la mattina dopo troveremo il pneumatico pronto.
Sul lungo terrapieno che porta a Mopti si viaggia tranquilli, circondati da campi in parte allagati. L'albergo è facile da raggiungere e, giuntivi, ci stravacchiamo tra doccia e piscina.

Il Nonno ci richiama all'ordine. Scendiamo sulla riva del fiume di fronte all'albergo e noleggiamo una pinasse. Detto così sembra semplice. In realtà, dopo aver trovato il proprietario ed aver concordato il prezzo, bisogna dargli un anticipo in modo che possa andare a comperare quei due litri di miscela necessari a fornirci il servizio. Attendiamo il suo ritorno. Il sole sta calando rapidamente ed i colori si fanno tenui e rosati. Finalmente salpiamo. Si va al Bozo Bar, sul porto, a berci una birra ed a guardare l'attività (relativamente) frenetica intorno alle pinasse da carico. Il tragitto scivola via in pochi minuti. Sulla riva si fa il bucato, si lavano automobili, ci si lava.. insomma, si vive.
Al Bozo Bar ci ritroviamo in un clima da assalto al turista che non si smorza neanche ai tavoli vicini al nostro. Noi invece, per imperscrutabili motivi, veniamo lasciati in pace, il che ci permette di gustarci la birra gelata e contemplare le attività sulla spiaggia.
Quando anche l'ultimo barlume di luce scompare, rimontiamo sulla nostra pinasse e torniamo all'albergo dove, a dispetto della hall pretenziosa, il servizio di buffet è decisamente scadente e mi costringe a saltare quasi tutte le già non varie portate.

Mopti - Bandiagara - Tombouctou

12 febbraio 2006

Dopo una attenta analisi dei giorni restanti per giungere ad Agadez ed aver limato i tempi al massimo, ieri sera abbiamo preso la decisione: Andiamo a Tombouctou!
Per far ciò ci svegliamo presto e dopo una deludente colazione al buffet dell'albergo ci mettiamo in marcia. Prima tappa il recupero del pneumatico a Sevarè che tra discussioni varie porta via una buona mezz'ora. Ne approfittiamo per la solita scorta di pane ed acqua. La strada verso la cittadina di Bandiagara è asfaltata e scorrevole. Da qui in poi è pista. Direzione Sanga, che si trova circa al centro della Falesia di Bandiagara.
La velocità è forzatamente bassa a causa della irregolarità del fondo. Si scorgono alcuni resti di tracciato di epoca coloniale che attraversano con gettate di cemento dei grandi lastroni di pietra. Incontriamo qualche piccolo villaggio con i caratteristici granai sopraelevati e dei verdissimi ed odorosi campi di cipolle in cui l'attività ferve. E' un tratto distintivo dei Dogon la cura delle coltivazioni. Piccoli barrage accumulano l'acqua che con fitte canalizzazioni viene convogliata nei campi. Lo stacco tra l'aridità dello scenario principalmente roccioso e questa improvvisa esplosione di vita vegetale è fortissimo.

A Sanga ci fermiamo in un lussuoso hotel, segno del turismo ormai industriale che sta progressivamente invadendo il Paese Dogon, per bere qualcosa di fresco e fare il punto. Siamo sul bordo della falesia e una volta discesi gireremo a sinistra, verso nord, per raggiungere il più brevemente possibile Douenza da cui parte la pista per Tombouctou.
Così del Paese Dogon vedremo solo l'aspetto scenografico senza visitare a fondo i villaggi. D'altra parte la cosa, per essere fatta bene e comprendere qualcosa della complessa cultura di questo popolo, richiederebbe qualche giorno.

Imbocchiamo la pista che scende dalla falesia: è ripida ma permette di avere uno scorcio mozzafiato su una serie di villaggi alla base della parete verticale sulla quale sorge Sanga. Una volta scesi, seguiamo la pista che segue la falesia ed attraversa numerosi piccoli villaggi ognuno dei quali è dotato del suo bravo negozio che vende scale e pali di togunà. Purtroppo si tratta di paccottiglia per turisti e di manufatti di qualità formale non se ne vedono. Anche la maggioranza dei togunà nei villaggi ha pali estremamente poco decorati e di fattura recente: un segno evidente che gli antiquari hanno già fatto piazza pulita degli originali, come quelli visti tempo fa a Dakar.

Lungo la pista scorrevole ma molto scavata incrociamo oltre a fuoristrada "tourisme" qualche carretto tirato da asini. Stufi del traffico, tentiamo un taglio nella piana alla nostra destra, tenendo il più possibile la rotta diretta su Douenza e seguendo delle saltuarie tracce. Giungiamo così ad un villaggio di "dogon di pianura" in un boschetto di acacie con un laghetto ombreggiato dagli alberi. Il luogo è tranquillo. Qualche passante, radi capi di bestiame e aria immobile. Un luogo in cui sarebbe piacevole fermarsi un po'. Lasciando il villaggio la pista percorre delle grandi ondulazioni ogni tanto separate da forti erosioni.
Gradualmente ci riavviciniamo alla falesia tra le acacie su pista sabbiosa fino a quando ci troviamo dentro a Douenza. Purtroppo dalla parte vecchia. E in giorno di mercato. Triboliamo il giusto, con l'aiuto di volenterosi locali a trovare l'uscita verso la statale, zigzagando tra i banchetti e la folla di motorini pedoni ed animali. Una volta sulla statale ci fermiamo in un bar per bere e mangiare qualcosa.
Qualche europeo ed una Sino-Americana in viaggio per l'Africa Occidentale con mezzi locali. Christine Tam è in giro da un paio di mesi ed ha già visitato Benin, Togo, Burkina e Mali. E diretta a Gao per poi proseguire verso il Niger. Dovendo andare noi a Tombouctou, città dalla quale proviene con un viaggio sul cassone di un camion durato molte ore, le diamo appuntamento a Gao per le 12 di due giorni dopo.

Dopo aver fatto il pieno imbocchiamo la pista per Tombouctou che sfila a fianco di grandi torri di roccia. I primi chilometri sono tutto sommato percorribili con facilità, fino a quando la pista diventa un'unica immensa tole ondulè. Un martirio per meccanica e passeggeri. Facciamo qualche taglio al di fuori del tracciato ma la necessità di arrivare al bac sul Niger prima di sera ci costringe a tirare ed a viaggiare ad alta velocità sulla tole nel tentativo di galleggiarci sopra. Superiamo il posto di controllo di Bambara Maundè e contrariamente alle aspettative anche il tratto seguente è ben tracciato, ma la tole impera.
Il Nonno ci sprona a correre di più e scompare in una nuvola di polvere. Io spingerei anche di più ma la macchina, con le sue balestre, più di tanto non può e le continue vibrazioni ci staccano la marmitta. Da qui in avanti cominciamo a sembrare ad un rumoroso trattore.

Al crepuscolo dopo una parte di pista estremamente polverosa, giungiamo in vista del Niger e della spiaggia di imbarco. Del bac neanche l'ombra ma ci assicurano che sta arrivando. E' tutto tranquillo, qualche pinasse si attarda sul fiume ed il vento porta a folate le voci dei conducenti degli altri mezzi in attesa. Siamo abbastanza stanchi e pensiamo di aver ormai fatto il più. Invece l'azione comincia non appena non uno ma ben due bac appaiono da dietro un ansa del fiume. Ed in effetti i motori cominciano a rombare e l'anarchia si impossessa della spiaggia, nonostante la presenza di un poliziotto con la sua 61 blu. Già il salire sul bac non è una cosa semplice: bisogna percorrere qualche metro di spiaggia nell'acqua prima di incontrare i ripidi scivoli dell'imbarcazione e se aggiungiamo a questo che è ormai buio si può capire come sul primo bac anche i locali hanno le loro brave difficoltà insabbiandosi alla grande. Urla, imprecazioni, conciabolii, spinte e corde da traino talmente usurate da spezzarsi più volte. Un vero casino. Ma ne siamo solo spettatori. Noi dobbiamo salire sul secondo bac che nel frattempo si è messo in posizione.

E qui il casino coinvolge anche noi.
Ci si dovrebbe imbarcare nell'ordine di arrivo sulla spiaggia ma un paio di pickup giunti dopo di noi tentano di fare i furbi. Dopo una mezz'ora di urli ed imprecazioni si infilano di forza prima di noi ed a quel punto anche noi facciamo di necessità virtù e, sempre di forza saliamo a bordo. Ne nasce una discussione a causa del fatto che il camion che era il primo a dover salire è rimasto a terra. Alla fine scendiamo a brutto muso e vengono fatti scendere anche i pickup. Sale il camion. Tocca a noi ma ci tocca fare ancora una sceneggiata a base di urla e sportellate sulla spiaggia prima di riuscire a salire a bordo. Che fatica...

La traversata del Niger dura una quarantina di minuti perché il nostro bac va a Korioumè, più ad ovest di Kabara, tradizionale porto di sbarco per Timbouctou. Ci spostiamo lentamente grazie alla pinasse fissata ad una fiancata ed al suo piccolo motore fuoribordo. Non sono riuscito a capire se il motivo dell'uso di questo sistema anziché utilizzare i motori diesel del bac sia una questione economica o di basso pescaggio in questo periodo dell'anno.

Col buio pesto ed alla luce dei fari sbarchiamo e ci portiamo sulla strada asfaltata ed in una ventina di minuti siamo a Timbouctou. Cerchiamo un albergo o un camping e troviamo rifugio alla periferia della città dove ci permettono di installare le nostre tende sul tetto. Aria tiepida, voci lontane e stanchezza ci portano a non pensare più di tanto ai problemi dei nostri mezzi e dopo aver spedito un po' di sms atti a suscitare l'invidia degli amici rimasti in Italia andiamo soddisfatti a nanna.


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