MSF missions

20/02/2000

Amudat, Uganda - Primavera 2000 #3

Autore: Roberto La Tour

Uova di struzzo e costellazioni

Sono qui da un mese abbondante ormai, e la vita continua tranquillamente senza grosse novità. Rudiger, il logista tedesco è tornato dalle sue vacanze sulla costa kenyota, e ho lasciato la sua camera per tornare nella tenda. Non è un male; la sera le camere sono calde a causa del sole che ha arroventato i muri, mentre nella tenda fa un bel freschetto. In camera, si va a dormire senza nulla, e ci si sveglia infreddoliti per tirarsi una coperta addosso; nella tenda invece si va a dormire con una coperta fino al mento, e ci si sveglia per metterne una seconda. In compenso la tenda è inutilizzabile di giorno: è un vero forno. Devo evitare di lasciarci la roba da toilette, farmacia e pellicole: rischiano di rovinarsi e i deodoranti si sciolgono. Il suo principale vantaggio è lo spazio: è infatti immensa, mentre le camere sono minuscole.

Il laboratorio, nel quale passo la maggior parte delle mie giornate, è una stanza d?angolo, e quindi ho la vista su due lati dell?ospedale. Da una parte c?è il solito spettacolo di mamme, mogli e figlie di degenti che preparano da mangiare su dei fuochi tra tre pietre, in compagnia di bambini e uomini, questi ultimi spesso seduti sul loro tradizionale sgabello, molto simile ai poggiatesta che potete ammirare al Museo Egizio. Dall?altra parte vediamo la spianata davanti all?ospedale, con delle tende per supplire temporaneamente alla mancanza di spazio nei reparti, il cancello e la strada. L?effetto visivo che si ha quindi in laboratorio è a volte abbastanza forte: mentre Peter preleva il sangue a un bambino urlante tra le braccia di sua mamma che subito dopo gli da il seno, Andrew è chino sul microscopio davanti a una delle finestre che danno sull?ingresso, e si vede oltre la sua testa una mandria di vacche bianche e gobbute che avanzano lungo la strada sollevando un gran polverone. In primo piano passa un cieco, tenendo l?estremità di un bastone tirato da un bambino che gli fa da guida, scena molto comune in vaste zone d?Africa.

L?airstrip, la pista in terra dotata in tutto e per tutto di una manica per il vento (quella calza a strisce bianche e rosse in cima a un palo), non ha l?ambizione di diventare un aeroporto intercontinentale, ma c?è la necessità di allungarla un po? di modo che aerei bimotori possano atterrare. E stata quindi assunta una squadra di persone per dissodare la sterpaglia spinosa, spianare e lisciare il terreno così ricuperato. Gli operai sono portati al lavoro e riportati a casa stipati sul cassone del furgone, e quando vengono a farsi remunerare, si mettono tutti in fila con l?amministratore che li paga uno per uno e invece di fargli firmare una ricevuta, visto che sono quasi tutti analfabeti, gli fa premere il pollice prima sul tampone dei timbri e poi sul foglio. Se non fosse che questo amministratore ha un aspetto e un atteggiamento un po? fricchettoni, e che le condizioni di impiego di questa gente sono ottime, sembrerebbe una scena venuta dritta dritta dall?epoca coloniale.

Alcuni giorni fa stavo finendo di lavorare, quando arrivano due adolescenti e mi chiedono se mi interessa un uovo di struzzo. Voi che mi conoscete, credete che abbia detto di no? Che senso, che idea, ma insomma? Soprattutto che già una volta ho dovuto rinunciare? Ho ovviamente accettato, l?ho pagato la somma astronomica di quattro dollari, e l?ho portato a casa. Pesava almeno un chilo! Già un dilemma occupava tutti i miei pensieri: come cucinarlo? Avrei voluto trovare una padella enorme, e farlo all?occhio di bue, per poi fare una fotografia memorabile. Ma oltre a non avere una padella simile, i miei compagni hanno tutti votato per una frittata. Ho usato due padelle; in una ho fatto una stupenda omelette al formaggio, nell?altra una cosa più simile a uova strapazzate con cipolla e pomodoro. Ma non è stato un successo: l?uovo, benché freschissimo, ha un odore tutto suo non dei più piacevoli; e l?albume, cuocilo pure quanto basta, resta gelatinoso e fa un po? senso. Non ne comprerò più, ma mi resta il guscio solidissimo come ricordo, che ho avuto il buonsenso di rompere solo ad una estremità.

La settimana scorsa sono venute un po? di persone da Moroto, il capoluogo regionale, e sono state organizzate una serie di riunioni. In previsione di questo avvenimento è stata costruita una ?veranda? di fronte al nostro salotto, cioè due muretti ad angolo con panca incorporata, un pavimento di  cemento e il tutto coperto da una tettoia di lamiera. E utile, perché si possono mettere tavoli e sedie e discutere in pace fuori dall?ospedale. Peccato che tolga la vista dello stupendo cielo stellato che c?è da queste parti. Parlando di stelle, non ho capito bene come si spostano le costellazioni: la sera vedo solo gruppi a me sconosciuti, poi a notte inoltrata appare l?Orsa Maggiore rovesciata a nord, e la Croce del Sud a meridione. Ma perché solo dopo mezzanotte? E perché tutt?e due insieme? La prima fa parte dell?emisfero nord, la seconda di quello sud. Qui siamo sull?equatore, quindi se si devono vedere solo per alcune ore a causa dell?inclinazione dell?asse terrestre, si dovrebbe osservare prima l?una, poi l?altra. Comunque, come dicevo questa veranda è stata utilizzata per delle riunioni, a cui per fortuna sia Kobi, la dottoressa esperta in Leishmaniosi, che io siamo stati dispensati dal partecipare. Dico per fortuna perché l?umore dei colleghi la sera rendeva da solo l?idea del divertimento folle che ci siamo persi, e i loro resoconti non erano da meno. Sembra per esempio che sono state spese quattro, dico quattro ore per discutere come avrebbe dovuto essere scritto il resoconto della riunione precedente, avvenuta a novembre. L?inviato del vescovo della chiesa anglicana tra l?altro insisteva che venisse messo a verbale che i lavori si sono aperti e chiusi con una preghiera.

Ieri c?è stata una gita. Siamo andati a Karita, a settanta chilometri da qui. La strada è uno sterrato, e l?ultima parte è un vero e proprio sentiero largo abbastanza per la nostra Toyota. Si passa dal Kenya, poi si rientra in Uganda. Niente frontiera, ma una pietra indica il cambio di nazione. Karita è un villaggio con una ventina di capanne in terra con il tetto conico di paglia, più alcune costruzioni ?all?occidentale? diroccate. Abbiamo fatto un giro; ci sono due pompe a mano e ho aiutato delle donne a tirar su dell?acqua. Abbiamo attraversato un fiume completamente in secca, e ci hanno mostrato qualche palo di cemento infilato nel terreno dicendoci ?questa una volta era la farmacia?. Tornati in centro al paese, ha iniziato la sessione di PHC (Primary Health Care). Si tratta di vaccinare dei bambini, pesarli, sentire dalla gente se ha dei problemi di salute, eccetera. All?ombra di un grande albero, viene aperta la borsa termica nella quale erano stati trasportati i vaccini. I bambini vengono pesati; per fare ciò viene attaccata a un ramo una di quelle bilance con il gancio, come negli uffici postali. Al bambino vengono messi dei mutandoni di plastica verde con delle lunghissime bretelle; queste ultime vengono attaccate al gancio. E il bambino urlante viene in questo modo appeso lì per alcuni secondi come un prosciutto ad essiccare. Poi iniziano le vaccinazioni: morbillo, tubercolosi, tetano, polio, difterite. Infine i problemi individuali; Muriel ha medicato le ferite di una donna picchiata, poi io ho raccolto su un fazzoletto di carta (purtroppo non avevamo la cartafiltro apposita) un po? di sangue a una ragazzina sospetta di avere la Leishmaniosi. Infine siamo ripartiti, non prima di esserci informati sui prezzi praticati per le poche cose in vendita su un telo per terra in mezzo al villaggio: granoturco, farina, zucchero, margarina, sapone, the. Sulla strada del ritorno ci siamo fermati sotto dei rovi spinosi per un glorioso pic-nic: pane in cassetta, formaggio, pomodori, the. Ho rapito l?attenzione di tutti quanti parlando della S. Sindone; e la conclusione dei credentissimi anglicani ugandesi e di Wilma, l?olandese protestante che ci accompagnava è stata che l?importante è credere, e quando si crede non c?è bisogno di prove.

Dopo la gita sono andato con Rudiger a fare un giro in paese, e siamo andati a vedere il pozzo artesiano attivato da un mulino a vento: è un sistema geniale; una grande pala gira e pompa su acqua purissima da quaranta metri sotto terra. Dei bambini ci seguivano sghignazzando, uno ha strisciato le sue mani fangose sui miei pantaloni puliti e amorevolmente stirati da Cecilia; poi non contento si riempiva la bocca d?acqua e ce la spruzzava addosso a lunghi getti. Ci sono voluti parecchi urlacci e mani alzate per farlo smettere. Poi ci siamo fermati in una specie di negozio oscuro che vende riso, sapone, zucchero e bibite; nel cortile è allestito un vago bar e abbiamo bevuto qualcosa con alcuni colleghi ugandesi. Nell?angolo c?erano due bellissimi dromedari dallo sguardo dolcissimo, zoppicanti perché avevano una zampa legata per la notte. Tornati a casa, ho tentato di produrmi in un risotto con tutti gli ingredienti sbagliati, incluso il riso. Era mangiabile lo stesso. Stamattina sono stato svegliato da vari rumori poco identificabili oltre ai soliti noti (campane, asini, galli). A colazione, per dimenticare l?incazzatura della sveglia domenicale, abbiamo cercato di identificarli. Quello che assomigliava al diesel di un vecchio rimorchiatore era una macchina per macinare il granoturco monocilindro a gasolio, mentre un rumore chiaramente di origine animale, è stato di individuazione molto più difficile. Sordo, profondo, ma forte. Molto più basso di tono, ma ahimè non di volume, del ragliare degli asini. Kobi ha pensato che potesse trattarsi di un asino con la tonsillite; noi abbiamo subito bocciato tale ipotesi e abbiamo concluso che doveva essere un dromedario.

Questo pomeriggio Muriel, Kobi e io siamo andati a fare una lunga passeggiata. Appena usciti dal paese siamo stati seguiti da quattro donne: una già un po? anziana, una ragazza e due bambine. Ridevano, schiamazzavano, e ci dicevano un sacco di cose. Non abbiamo capito niente, ma può darsi che la ragazza volesse scambiare la sua gonna con i pantaloni di Muriel. Potava un sacco in equilibrio sulla testa, io ho provato a portarglielo per un po?. Pieno credo di granoturco, pesava circa dieci chili e dopo  cinque minuti avevo male al collo. Lei era graziosa, abbastanza minuta, non aveva muscoli possenti visibili sul collo, e portava quella roba in equilibrio sulla testa, senza aiutarsi con le mani. Ma come diavolo fanno? Dopo un po? incontriamo una mandria di mucche, e la vecchia mi insegna a mungere. Prima una delle bambine stimola con la mano la vulva della mucca, credo per favorire la lattazione, poi la signora mi mostra come tirare il latte. E ci riesco! Un bello spruzzo bianco, che finisce nel recipiente che lei portava, e se lo beve subito. Le vacche di qua hanno mammelle molto più piccole delle nostre, e l?operazione è stata compiuta con la punta delle dita. Infine abbiamo raggiunto Kobi, che correva come un treno ed era sparita davanti a noi, e siamo tornati a casa stanchi e assetati, ma per fortuna abbiamo trovato il frigo pieno di birra ghiacciata.


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