Società

17/02/2005

Catastrofismi

Autore: Alberico Barattieri

Per alcuni anni mi è capitato di sentirmi criticare quando sostenevo che le prospettive di questa città non erano rosee. Sono passati 15 anni da quelle mie prime sensazioni ed i fatti si stanno rivelando peggiori delle previsioni. L'informazione ufficiale, cioè il principale quotidiano cittadino, per ovvi motivi ha sempre nascosto la vera situazione economico-industriale della città. Ed i cittadini, abituati a dire signorsì al "re" del momento da tempo immemore, sono stati indotti a credere che tutto andasse bene e che la G.A. (Grande Azienda) era e restava il punto di riferimento della città e la sua assicurazione per la prosperità.

Infatti grazie ai finanziamenti statali ed all'uso scorretto (vedi l'interessante libro di Michele De Lucia "Fiat, quanto ci costi") della cassa integrazione, questa grande azienda era riuscita a sopravvivere alle ripetute crisi di vendita dei propri prodotti, in barba al mercato ed ai propri competitor. In realtà, fin dall'inizio degli anni 90 era chiaro, a chi avesse voluto vedere, che il ruolo dell'industria sarebbe stato sempre minore. Ed in una "monocultura" industriale, quale quella che da decenni schiaccia Torino, la cosa sarebbe potuta essere estremamente pericolosa. Nonostante ciò le autorità cittadine continuavano (e gli succede ancora oggi) a parlare di "centralità della Fiat" per il futuro della città.

Nella seconda metà degli anni 90 la situazione di crisi non era più agevolmente occultabile. Ci voleva un diversivo. Le fervide menti del Lingotto ne trovarono uno che avrebbe permesso di guadagnare tempo e dare un po' di respiro alla situazione, sviando l'attenzione dal problema primario. Le Olimpiadi invernali.

Quando Torino vinse l'assegnazione delle Olimpiadi invernali, i soliti sociologi prezzolati, dalle pagine del quotidiano "organo ufficiale" cominciarono a raccontarci del meraviglioso futuro che si sarebbe aperto davanti a noi grazie all'evento sportivo. Naturalmente ascrivendone i meriti alla solita G.A. che aveva finanziato la campagna e tralasciando il fatto che, al tempo stesso, la stessa si era appropriata dell'evento piazzando suoi uomini al comando dell'organizzazione. E quindi della gestione dei finanziamenti statali.

I fatti recenti ci dicono che questa organizzazione, ad un anno dall'evento, si ritrova "commissariata" a causa di un buco di diversi milioni di euro. Euro che naturalmente lo stato dovrà appianare. Il solito business assistito dallo stato, evidentemente unico modo per produrre qualcosa in questa città. E soprattutto con questa classe dirigente poco trasparente e capace.

Viene da ridere a leggere gli articoli che si susseguono sulle pagine cittadine della Stampa negli ultimi tempi. Tutti trattano del futuro di Torino, ancora una volta con toni di speranza. Viene da addirittura da sganasciarsi quando tra questi articoli ne compare uno in cui un noto manager della G.A. pontifica delle meravigliose prospettive future di Torino grazie alle capacità della sua classe dirigente. Mi domando di quali capacità parli. Forse quelle di quei tanti torinesi che da anni, schiacciati dalla monocultura, sono fuggiti e diventati manager di successo altrove. Gente che ben difficilmente tornerebbe sotto la Mole. E di quale classe dirigente parli: spero non di quella formata da "yesman" che ha portato la città sull'orlo del baratro.

Baratro. E' quello che ci aspetta a breve. Finite le Olimpiadi (ed i finanziamenti relativi), ridimensionata se non chiusa la G.A., senza imprenditori capaci e con una classe politica che grande prova di se non ha mai dato, in che condizioni sarà Torino tra un anno? E quanti anni ci vorranno prima che si risollevi?

La risposta, forse, può essere trovata andandosi a rileggere cosa successe a Liverpool quando le sue fabbriche chiusero i battenti.


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